“And then there were two”, parafrasando un celebre titolo dei Genesis, quando i pezzi persi per strada iniziavano a diventare parecchi. Così è per i Queensrÿche, di ritorno in Italia con due soli membri storici superstiti dai vari sconvolgimenti degli ultimi anni: Michael Wilton ed Eddie Jackson scelgono la riviera romagnola per proporre un’insolita alternativa heavy in una delle capitali della movida balneare.
Arriviamo al Rock Planet di Pinarella di Cervia giusto in tempo per una delle band di spalla, perdendoci purtroppo l’alternative-metal dei tedeschi Mirrorplain, ma riuscendo ad ascoltare il set potente e coinvolgente dei Firewind. La band greca sfrutta al massimo i tre quarti d’ora a disposizione scaldando il pubblico e facendolo saltare con una scaletta essenziale ma equilibrata, compresa la sorprendente cover “Maniac” di Michael Sembello. Il pubblico gradisce e dà tutta l’impressione di non essere arrivato esclusivamente per gli headliner della serata, saliti finalmente sul palco alle 22.30 in punto.
Se le ultime prove in studio della band di Seattle, pur risultando in lavori dignitosi con qualche acuto interessante, lasciavano pochi dubbi sulla scarsa capacità di puntare a nuovi ambiziosi orizzonti, la versione live dei Queensrÿche di oggi ha una dimensione grosso modo maggiore. Già l’opener “Blood Of The Levant”, brano di apertura dell’ultimo lavoro “The Verdict”, acquista dal vivo una forza maggiore, confermando quella che sembra da anni essere la volontà del gruppo, ovvero diventare una band heavy metal senza tanti fronzoli o digressioni cerebrali, e le scelte fatte nel vasto repertorio di classici confermerebbero questa sensazione. Metà della scaletta percorre i punti più ruvidi e diretti della produzione degli anni 80, dall’orrore futuristico di “NM 156” e “Screaming In Digital” agli inni epici di “Queen Of The Reich”, “Take Hold The Flame” e “Operation: Mindcrime”.
Todd La Torre si dimostra per l’ennesima volta all’altezza di requisiti vocali tanto esosi, i quali erano proibitivi per il buon Geoff da ben oltre un decennio. La presenza sul palco non sarà mai magnetica come per il suo predecessore, ma la carica sul palco è esplosiva e la sensazione di una band unita, piuttosto di un gruppo di gregari al seguito della prima donna, è netta e tangibile.
La mancanza di Rockenfield alle pelli è sicuramente percepibile, ma Casey Grillo dei Kamelot - suo sostituto live - non sembra in difficoltà nell’intrecciarsi a un Eddie Jackson pieno di entusiasmo. E Wilton? Di fatto è lui il senatore che fa impazzire i fan, regalando rasoiate chitarristiche in occasione di ogni sua uscita solista.
In questo tripudio di metallo trapanante, sembra fuori contesto la stupenda ballata “Silent Lucidity”, o forse il buon Todd è semplicemente più a suo agio quando deve spingere forte sulle corde vocali. Il finale di un’ora e mezza risicata di spettacolo è dedicato alla coppia “Jet City Woman” ed “Empire”, entrambe estratte dall’omonimo disco che resta uno dei capolavori meglio invecchiati della band.