
Un mini-tour italiano più sofferto del previsto, quello dei Pixies, inizialmente programmato per l’estate del 2020 e rinviato per due volte a causa delle restrizioni imposte per fronteggiare la pandemia. Ma alla fine il momento è arrivato, concretizzatosi prima con la prestigiosa apertura (nel 1991 avrebbe assunto il significato di prematuro passaggio di consegne) per i Pearl Jam, sabato 25 giugno, nell'immensità dell’autodromo di Imola, poi con la previsione di tornare in agosto in quel di Lecce. Nel mezzo, la data romana di lunedì 27 giugno, organizzata nello spazio Cavea dell’Auditorium Parco della Musica intitolato al Maestro Ennio Morricone. Tolte di mezzo le sedioline che per anni hanno composto il parterre, quest’estate nella Cavea si sta tutti in piedi sotto il palco: si vende qualche biglietto in più e gli eventi assumono una connotazione più da “arena”.
Come previsto, già alle 20,15 parte il set dei Gomma, sotto un cielo nuvoloso che all’imbrunire cerca invano di stemperare il terribile caldo di questi giorni. “Le aperture non sono mai facili”, affermerà Ilaria Formisano verso fine set, mezz'ora condotta con veemenza rispolverando i suoni guitar oriented del miglior alternative-rock italiano degli anni 90, includendo brani come “Santa pace” e “Tamburo”, in breve tempo assurti al ruolo di piccoli classici del nostro circuito indipendente. Tre dischi realizzati finora, che fanno dei Gomma una delle realtà più interessanti dell’Italian underground. Aprire per i Pixies è una grossa responsabilità, ma anche un’investitura ufficiale. E i ragazzi se la cavano egregiamente.
Gli anni 90 dicevamo, quelli che i Pixies hanno contribuito a forgiare con i loro dischi pre-scioglimento, adorati da chi (fra gli altri un certo Kurt Cobain) seppe poi monetizzare meglio di loro di lì a poco. I quattro album pubblicati fra il 1987 e il 1991 (in particolare i primi due) restano illuminanti per decifrare in maniera compiuta la scena indie-garage-rock di quegli anni e inquadrare meglio tutto quello che accadde subito dopo. Oggi Frank Black e soci sono assolutamente consapevoli di cosa rappresentano e, pur senza mai interagire col pubblico, costruiscono l’ossatura delle proprie esibizioni proprio su quei lavori, visto che la quasi totalità della scaletta è composta dalle canzoni di “Come On Pilgrim”, “Surfer Rosa” e “Doolittle”, lasciando solo piccole briciole agli album post-reunion.
Un concerto che, al netto di qualche sbavatura (Joey Santiago si dimostra non sempre concentratissimo), assume le sembianze di un vero e proprio “greatest hits”. Ben 36 canzoni eseguite in un’ora e 55 minuti, messe in sequenza senza alcuna pausa, come un ininterrotto flusso di coscienza, durante il quale i Pixies suonano tutto quello che ci si potrebbe aspettare. Esecuzioni un po’ troppo pulitine, è vero, a tratti prive di mordente, ma l’emozione di riascoltare questi evergreen spazza via qualsiasi ulteriore pretesa. Con “Where Is My Mind?” che si conferma inno generazionale, nonché traccia più popolare della band di Boston, e “There’s A Moon On” perfetta per lanciare un ponte verso il prossimo album, “Doggerel”, previsto in uscita il 30 settembre.
Fra i momenti topici, va segnalato la prolungato intro di “Gouge Away” durante la quale il pubblico balla come posseduto da una forza misteriosa, ma anche il noise depotenziato di “Vamos”, l’attacco imperioso di “River Euphrates”, una “Gigantic” nella quale la bassista Paz Lechantin indossa i panni che furono dell’adorata Kim Deal, l’inossidabile “Debaser” suonata come fosse l’ultima canzone del mondo. E invece dopo ce ne saranno ancora un’altra decina, compreso il bis concordato al volo: Frank fa capire di non poter andare oltre con la voce, e allora il batterista David Lovering diviene il protagonista per la conclusiva “La La Love You”.