12/12/2010

Anais Mitchell

Great American Music Hall, San Francisco


Sbirciando tra le imposte serrate della Great American Music Hall, teatrino del 1906, contemporaneamente casa di gioco e bordello, si ha la netta premonizione della complementarietà tra le suggestioni dell'ambiente in questione e lo spettacolo di Anais Mitchell, opera di vaudeville musicale impegnato, rimuginante e istrionico allo stesso tempo. Tra stucchi prorompenti e drappi impolverati, si scorgono gli spettri di signorotti avvinazzati rovesciarsi dalla sedia, i cadaveri marcescenti di battone decrepite sculettare lascivamente tra i tavoli... Lo sporco di vizi sedimentati negli angoli, quello che tutti, oggi, cercano instancabilmente di pulirsi via dalle mani sui lembi del soprabito, si sposa alla perfezione con l'aura malinconicamente nostalgica (per quei sentimenti più nobili che paiono dimenticati) dell'ultimo lavoro della Nostra: "Hadestown".

Ha ovviamente il suo ruolo nel fascino del concerto che viene il carattere di rappresentazione teatrale di questo disco - nella fattispecie, la trasposizione del mito di Orfeo ed Euridice nell'ambientazione cupa di un'America segnata dalla crisi, isolata(si) ma trascinata dalla poesia verso una impervia via di uscita. Per questo mini-tour conclusivo, Anais ha radunato musicisti della scena locale, quali Sean Hayes, che interpreta Orfeo, Thao Nguyen (Persefone) e John Elliott (Ade) e mantiene, coerentemente, la disposizione dei brani di "Hadestown", percorrendolo nella sua interezza secondo l'ordine narrativo.
La sua opera brechtiana è in effetti forse un po' schematica (i morti sono i ricchi, dai vivi stanno i poeti affamati), ma è ricolma di un afflato innocente dal quale rimane comunque difficile non lasciarsi coinvolgere. Tutte caratteristiche riproposte dal vivo in maniera convincente, con un'orchestra al completo - sul palco si contano ben 16 elementi, tra i quali i cinque personaggi, più tre coriste, quartetto d'archi, pianista, chitarrista, percussionista, etc. La stessa Anais pare trascinante e ispirata e, seppur priva di mezzi canori eccezionali, compensa con un carisma palpabile, tenendo la barra della narrazione (in modo molto "americano") tra una canzone e l'altra e contorcendosi dinnanzi al microfono.

Senza nulla togliere alle performance di Justin Vernon in studio, è soprattutto Sean Hayes, tra coloro presenti sul palco, a colpire (con una "If It's True" da brividi) al cuore per la personalità con cui interpreta una parte per nulla scontata (sotto il piano tecnico ma anche d'interpretazione tout court), quale può essere, invece, quella di Ade, o Ermes (impersonificati in maniera più convenzionale - ma comunque egregia - rispettivamente da John Elliott e Michael Chorney). Meno azzeccata è la presenza sul palco della Nguyen, più occupata ad affettare le pose di quella che appare sé stessa (non del suo personaggio), che a intonare con costanza le proprie parti, spesso perdendo fiato, forse per l'emozione.

Per il resto, pur perdendo la raffinatezza di certi passaggi del disco (il sospiro leggiadro di Bon Iver, l'ampiezza del suono e i piccoli dettagli di piano e archi, che riverberano qua e là) l'immediatezza della rappresentazione, non solo musicale, ma anche gestuale e mimica, compensa alla grande, rivelando il fascino di un'opera coerente fino in fondo al suo fascino antico: pare fatta apposta per esser suonata "sulla strada", per vecchie bettole e bar di periferia, tra i rumori di stoviglie e gli schiamazzi degli ubriachi. Opera "popolare" o no, è sempre un bel sentire.

Setlist

1. Wedding Song
2. Epic (part I)
3. Way Down Hadestown
4. Songbird Intro (instrumental)
5. Hey, Little Songbird
6. Gone, I'm Gone
7. When The Chips Are Down
8. Wait For Me
9. Why We Build The Wall
10. Our Lady Of The Underground
11. Flowers (Eurydice's song)
12. Nothing Changes
13. If It's True
14. Papers (Hades finds out) (instrumental)
15. How Long?
16. Epic (part II)
17. Lover's Desire (instrumental)
18. His Kiss, The Riot
19. Doubt Comes In
20. I Raise My Cup To Him

 


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