I Dillinger Escape Plan sono uno dei gruppi più interessanti emersi nella seconda metà degli anni 90 in America. Dopo aver compiuto i primi passi incerti all’interno della scena hardcore indipendente, la band pubblica un paio di ottimi Ep, che preparano il terreno per l’album d’esordio "Calculating Infinity", datato 1999.
Siamo quindi sul finire dei Novanta e l’opera in questione rappresenta un’ondata di freschezza e di innovazione per ciò che riguarda il metal nel senso più ampio del termine, nonché un caposaldo della corrente mathcore, accanto ad almeno altri due validi lavori apparsi in quegli anni: "We Are The Romans" dei Botch e "Jane Doe" dei Converge.
Il full-length di cui si parla è il disco più influente e più originale della discografia dei Dillinger Escape Plan, quello con cui si delineano le linee guida del loro sound, che rimarranno negli anni a seguire e da cui attingeranno molte altre band.
Il quintetto del New Jersey si distingue all’interno del calderone del metal contemporaneo sviluppando le istanze dei Death e dei Cynic, che, tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta, proposero un ipertecnico death-metal condito con elementi riconducibili al jazz e alla fusion.
I Dillinger Escape Plan ammodernano tali elementi partendo da un’impostazione tipicamente jazz nelle partiture di chitarra, e riescono ad andare oltre, grazie a varie contaminazioni che spaziano dal grindcore all’industrial, dal prog alle sfumature più disparate del metal. Un’apertura mentale non indifferente e una solida preparazione teorica musicale alle spalle sono le prerogative di musicisti la cui perizia esecutiva e le cui capacità tecniche sono certamente ai livelli di band "virtuose" - un aggettivo che può sorgere spontaneo ma che invece non è adatto alla formazione di cui parliamo e all’intera scena a cui ci riferiamo.
La band, inoltre, dimostra di aver assimilato appieno quella tradizione hardcore che rimanda a realtà fondamentali quali Black Flag o Husker Du, che ha conosciuto diversi sviluppi nel corso degli anni e che essi conducono ad una nuova interessante maturazione. Oltre a estendere, in nuove dissonanti articolazioni, le complesse costruzioni del math-rock e a conciliare l’urgenza dell’heavy-metal con le raffinate architetture del free-jazz.
Tutto questo è "Calculating Infinity": un cocktail micidiale e corrosivo che permette ai Dillinger Escape Plan di ergersi a paladini del mathcore e a grandi innovatori del metal estremo di fine anni Novanta.
Questo è un disco che può far male, che assale l’ascoltatore senza preavviso. E’ una scarica di caos ragionato, adrenalina pura. A cominciare dalla celebre "Sugar Coated Sour", una delle canzoni-culto della band, i brani partono tutti d’improvviso, come un fulmine a ciel sereno,e ci scombussolano alternando repentine accelerazioni a catartiche divagazioni free-jazz, utili per recuperare il fiato.
Un disco d’impatto, senza mezze misure: ritmi velocissimi e incalzanti di batteria sono la base per i riff taglienti e abrasivi di chitarra, il tutto accompagnato dalle urla di Dimitri Minakakis, che grondano rabbia e violenza.
Le peculiarità del gruppo sono l’uso preponderante di metriche complesse, ritmi difficili, quindi strutture non convenzionali, con una particolare ricercatezza nelle composizioni.
I cambi di ritmo sono frequenti, gli sprazzi di virtuosismo non sono mai fuori luogo e in questi solchi non c’è solo tecnica fine a sé stessa; la fantasia è altrettanto notevole.
Ulteriori stratagemmi sono l’utilizzo frequente di tempi dispari (anche sincopati) e un uso inconsueto degli accenti, complicazioni che lascerebbero presagire inutili forzature o velleità; ma non in questo il caso, cosicché ogni traccia appare perfetta così com’è, senza richiedere ulteriori sforzi di comprensione.
Sono pochi gli attimi di pace, di calma apparente concessi all’ascoltatore, giusto il tempo di leccarsi le ferite. Anche in questi, tuttavia, il quintetto non si risparmia. Trattasi di "#..", una sorta di ambient-math-industrial propiziatorio e di "Weekend Sex Change", in cui brilla la stella di Chris Pennie, batterista capace di fondere in modo tanto incredibile quanto inusuale elementi di death-metal, funk, prog, jazz e chi più ne ha più ne metta. Degne di nota sono anche la title track, un originale math-funky che ben presto esplode con la consueta furia hardcore e "The Running Board", in cui la band gioca sullo "stop and go", sul "forte-piano".
"43 % Burnt" si configura come un omaggio al death-metal per mezzo del jazz, un’operazione sicuramente ambiziosa, ma il risultato è uno dei momenti più alti dell’album. "Destro’s Secret" è invece l’ultimo approdo del math-rock, in una nuova veste sempre più ardita, con un riffing di chitarra ipnotico e paralizzante.
"Clip The Apex… Accept Instruction" e "4th Grade Dropout" sono un crescendo di incontrollabile ferocia che culmina con il nichilismo più assoluto di "Variations On A Cocktail Dress".
L’intera opera è pervasa da un’atmosfera opprimente e claustrofobica, aggravata dalla completa assenza di aperture melodiche.
A cominciare dalla "forma canzone", che in un simil contesto non ha motivo di esistere, i Dillinger Escape Plan procedono all’annientamento di qualsiasi canonicità, preservando tuttavia, l’organicità e la razionalità del tutto. Gli strumenti, infatti, sono in perfetta sintonia gli uni con gli altri e, anche nelle tracce più caotiche, complesse e difficilmente decifrabili, regna un incredibile ordine intrinseco, una sorta di filo conduttore che lega le partiture delle chitarre alla sezione ritmica, creando un tutt’uno.
"Calculating Infinity", in ultima analisi, va a configurarsi come una sorta di trasposizione in musica dell’eterna dicotomia fra caos e ordine, attraverso un costante processo di costruzione-distruzione, strutturazione-destrutturazione. Una tensione mai illustrata così efficacemente.
Collocandosi a mezza via fra l’ambito underground e quello mainstream, "Calculating Infinity" riceve apprezzamenti su entrambi i versanti e presenta ancora quella genuinità che caratterizza il sound di molte band agli esordi, e che si perde facilmente con il passare degli anni e con l’accrescersi della popolarità. Per quanto riguarda i Dillinger Escape Plan, peraltro, la faccenda in questione è piuttosto controversa, visto quanto hanno fatto discutere le levigature apportate al loro suono con "Miss Machine" (2004) e gli inserti melodici e sperimentali di "Ire Works" (2007), dividendo critica e fan.
Valida e convincente su disco, la band risulta esserlo ancor di più sul palcoscenico. Capace di impostare dei live-shows fisici, incendiari e peculiarmente devastanti, è stata menzionata tra le migliori band dal vivo in assoluto. Peraltro, fu proprio grazie alle proprie doti on stage che i cinque richiamarono le attenzioni di un'ottima etichetta indipendente quale la Relapse Records e di Mike Patton (ex Faith No More), il quale propose loro di seguirlo in tour con i Mr.Bungle e fu ospite pochi anni più tardi in "Irony Is A Dead Scene" (datato 2002).
17/02/2008