I Vampire Rodents sono il progetto musicale dell'antropologo canadese Daniel Vahnke, trasferitosi in Arizona alla fine degli anni Ottanta. Accompagnato principalmente dal collega Victor Wulf (attivo anche con il moniker Dilate) e dalla violoncellista Andrea Akastia, è stato autore di una proposta originalissima al confine fra musica industriale e contemporanea. In questa direzione il terzo disco "Lullaby Land" è un capolavoro imponente e definitivo, capace di esaltare l'arte del contrappunto in orchestrazioni disarmoniche artificiali.
Discepolo autodidatta del novecento, Vahnke ha plasmato pattern sonori caotici mediante tecniche collagistiche che possono ricordare i Residents o Foetus, smembrando il materiale in campionamenti elettronici simmetrici alla struttura dei brani. L'operazione riesce nell'intento di importare in un contesto "rock" gli studi sulla microtonalità di grandi maestri contemporanei, da Conlon Nancarrow a Todd Dockstader, passando per le big band degli anni Trenta-Quaranta e le colonne sonore per cartoni animati di Carl Stalling e Raymond Scott. Tutto questo viene sintetizzato in un processo creativo denominato Sample-Based Composition (SBC), evitando di fatto un apprendistato tradizionale e ovviando alla mancanza di musicisti esecutori. I Vampire Rodents perlustrano meticolosamente le fonti sonore necessarie per la realizzazione di un archivo di file campionati. "Lullaby Land", in particolare, eleva il metodo in un montaggio del suono paragonabile alla creazione di un mosaico.
La traccia di apertura, "Trilobite", aggiunge riff di chitarra distorti, cadenze funk e percussioni tribali al programma fin qui delineato: un vortice danzante senza respiro, nel quale il ritmo si spezza e riparte più volte mentre la voce aggressiva di Dan Gatto dei Babyland sfida le frasi di violoncello e i campioni jazz del sassofono. I violenti cambi di tempo su "Crib Death" disegnano traiettorie imprevedibili, sviluppate attraverso battiti crossover più che mai totali. La marcia bizzarra di "Dogchild" viene scandita dai fiati e dalle percussioni imitanti una banda da parata impazzita. Lo scenario rappresentato da queste partiture vira verso lidi dissonanti in una trasformazione timbrica volutamente disordinata ma rigorosamente controllata.
La title track, cantata da Jared Hendrickson dei Chemlab, vive nell'incubo di un balletto spettrale, avvolta in rumorismi elettrizzanti generati dalla frenesia robotica dell'andamento. "Scavenger" arriva addirittura a campionare insetti volanti in una clima di terrore cibernetico, accanto a riverberi metallici e rimbombi sonici spaventosi. In effetti, è un'impresa trovare qualcuno che possa concepire la densità dei suoni di "Gargoyles" e "Glow Worm" con così tanta disinvoltura anche fra gli sperimentatori più smaliziati.
E le sorprese non sono ancora terminate. "Akrotiri" si lancia in un rituale spericolato dove l'aura gotica si trascina in visioni ancestrali irrobustite dall'organo. Al raga va invece collegato il flusso funambolico di "Raga Rodentia", condotto da sitar, tabla e pulsazioni elettroniche nell'intreccio etnico dell'ambientazione. "Awaken" è una formidabile messa in scena di una breve pièce orchestrale che completa il discorso iniziato su "Premonition" durante "Demon Est Deus Inversus". "Bosch Erotique" sovrappone voci, versi, grida assortite al seguito di archi e fiati incalzanti, in un teorico proseguimento delle "Aventures" di Ligeti. Il dinamismo, l'irregolarità ritmica dei sample di "Hubba Hubba" e "Cartouche" sfuggono a qualsiasi convenzione, tanto che risulta difficile catalogarli presso sottogeneri attualmente codificati. Senza andare troppo lontano, bastano i cinquantatré secondi di "Tremulous" a ridefinire il mestiere del campionatore.
Di questo passo, nelle esplosioni chitarristiche di "Grace" (in cinese) e "Toten Faschist" sembra quasi che il metal lotti con il rivestimento di musica contemporanea dentro il quale è obbligato a stare; d'altronde, anche l'artiglieria pesante di "Catacomb" non può fare a meno di schiantarsi contro le sue pareti. "Dervish" smuove martellamenti ciclici mostruosi all'interno di baccanali, boati, scosse telluriche ed "Exuviate" è un coacervo velenoso in cui il mix sinfonico soffoca sotto i colpi della chitarra elettrica, sostenuta dalle percussioni e dalle palpitazioni avvincenti dell'elettronica. Per quando riguarda "Nosedive", provate a immaginare una relazione clamorosa che coinvolge l'etica del punk (Dan Gatto) e la coscenziosità di un'educazione accademica; avrete così un'idea di cosa Vahnke stesse cercando tramite i Vampire Rodents. La chiusura è affidata a "Passage" (di Wulf), delicato soffio ambientale che fonde Briano Eno e Steve Roach.
Il genio enciclopedico di Vahnke adopera mezzi espressivi decisamente inconsueti, costruendo un ponte naturale fra techno-industrial, contemporanea e jazz.
Anche per questi motivi "Lullaby Land" è un'opera letteralmente estrema e monumentale, sia per la qualità delle idee ricavate, sia per la lunghezza dell'insieme (ventuno composizioni, circa settantatré minuti di durata complessiva).
Dopo essere stato trascurato da pubblico e discografici per molti anni, questo lavoro, così unico nel panorama musicale mondiale, è stato finalmente riscoperto. Dal momento che l'eclettismo indefinibile dei Vampire Rodents va semplicemente oltre i limiti delle categorie.
30/11/2006