A quasi cinque anni dal mantra allucinato - metà krauto, metà progressivo - di "Vision Creation Newsun", i Boredoms ritornano con un'opera di elevato valore, che estende ulteriormente l'idea musicale della band giapponese, trasfigurandola in un amplesso magmatico in cui, rispetto alla schizofrenia iconoclasta degli esordi, s'avverte un gusto più marcato per sonorità "estatiche" e "cosmiche" che hanno in Sun Ra uno dei numi tutelari basilari.
Dopo lo scioglimento della line-up originale, nel 2001 il leader storico Yamatsuka Eye (al cui fianco era rimasta la sola batterista, Yoshimi P-WE) chiama a raccolta altri due batteristi, ATR e Yochan, e spesso e volentieri si presenta al pubblico con la sigla Vooredoms L'intento è quello, come dichiarava lo stesso Eye, di mettere a punto "un'unità di circolazione intra-sistemica, in cui viene esplorato l'epicentro primordiale della musica dei Boredoms, alla ricerca di principi e sintonie ritmiche ed emotive".
E' quanto impregna il primo dei due brani del nuovo capitolo della saga della band di Osaka. "Seadrum", infatti, si apre con i vocalizzi ancestrali di Yoshimi P-WE, sommersi, in men che non si dica da una colossale e dinamitarda esplosione tribale. La circolarità "infinità" e martellante delle tre batterie prorompe in un'incandescente orgia di poliritmie, sovrapposizioni e slittamenti che è reminiscenza vivissima e più che mai attuale di una delle influenze più nascoste della band: il Pharoah Sanders percussivo e intergalattico di "Summun, Bukmun, Umyun" (dall'album omonimo). I glissando liquidi del piano tramutano, senza per altro intaccare, questo vertiginoso delirio ritmico in sfolgorio meta-musicale, che pesca sensazioni trascendenti nella "coscienza universale" di Alice Coltrane e preme in direzione di essenze spacey, che delimitano, per esserne al contempo risucchiati, mostruosi mulinelli di sconquassi free-form. E' a metà circa del brano che per un attimo la vertigine si tramuta in incanto, con le tablas a disegnare scenari "Hassell-iani", prima che la trimurti ritmica ricominci a percuotere senza pietà in tumultuosa apoteosi ascensionale, tra fughe verticali di elettronica e propaggini di dub sciamanico. Solo l'adagiarsi del tutto nel pianismo soffuso e vibrante di mistero del finale ricongiunge questa meteora impazzita alla pace di una landa sconfinata, persa nel tempo e nello spazio.
Queste ultime, tra l'altro, sono le stesse coordinate che vanno a rifrangersi dentro il raga sterminato di "House Of Sun", ramificato senza sosta in mille direzioni possibili e impossibili… nonostante sembri restare (come per altro da copione) sempre nello stesso punto. Il sitar ("Psycobaba") è il punto di vista prospettico da cui viene ricavato un monolite ipnotico, tutto proteso allo sviluppo di una cattedrale di attimi purissimi che ora rievocano incroci sublimi (e subliminali) degni di un "Hosianna Mantra" (Popol Vuh), ora rinascono fradici di luce, iridescenti haiku sonori, in cui davvero sembra prendere forma la vita nel suo incedere sfavillante.
L'impressione, in definitiva, è che sia nel primo che nel secondo brano, Eye & co. mirino a una versione di "soul music" (così ama definirla lo stesso Eye, rifiutando la definizione - non del tutto errata, a dire il vero - di "trancedelic music") per il nuovo millennio. Una "soul-music" che, più che a un mood espressivo, deve ricondursi a un (non tanto) immaginario luogo dell'anima, lì dove convivono sia la loquacità dell'Occidente (lo "sconfinamento" ritmico del primo brano), quanto il silenzio dell'Oriente (l'eterea quiete dissolta in mille granuli di "House Of Sun").
In mezzo, i Boredoms… Quelli di oggi: ancora vivi e ispirati, nonostante la lunga attesa ci avesse fatto temere il contrario.
(2004)
24/11/2006