Il nuovo lavoro dei Dirtbombs non è un una vera novità, anche se alla maggior parte dei potenziali fruitori le cinquantadue (!) chicche in esso contenute appariranno come mai udite prima. Il nuovo lavoro dei Dirtbombs non è un disco come tutti gli altri: è un generoso bignami (chiamarlo "greatest hits" sarebbe riduttivo...) contenente brani in parte già editi, in parte di difficilissimo reperimento e in parte pubblicati per la prima volta.
I Dirtbombs sono il tipico caso scuola di cult-band, con una manciata di fan fedelissimi e accaniti, e la stragrande maggioranza della popolazione mondiale che ne ignora completamente l'esistenza. Questa è l'occasione d'oro per scoprire un gruppo unico al mondo e contribuire a non lasciarlo nell'anonimato. Una band che calca le scene da oltre dieci anni capitanata da quel mostro di bravura che risponde al nome di Mick Collins, nero, imponente, uno che con la voce riesce a spadroneggiare sempre, dal soul più impegnativo al punk più graffiante.
Il nuovo lavoro dei Dirtbombs è un doppio: il primo cd contiene ventinove canzoni autografe, il secondo è una raccolta di ventitré strampalate e devastate cover, attinte dai mondi più distanti (da Stevie Wonder ai Rolling Stones, dai Soft Cell ai Bee Gees, da Yoko Ono a Elliott Smith, dai Gun Club ai Romantics). I Dirtbombs hanno sempre fatto un uso consistente del formato singolo, arricchendolo di gustose e rapidamente introvabili b-side; il pregio principale di "If You Don't Already Have A Look" è riunire e condensare il tutto, regalandoci per di più otto canzoni del tutto inedite.
I Dirtbombs hanno in fondo un'anima soul-funk, ma sono (e si sente) una garage band con i fiocchi, una formazione atipica che schiera una chitarra, due bassi e due batterie: fatevi due conti e provate a immaginare che razza di sezione ritmica può uscirne fuori... Quasi tutte le tracce sono sotto i tre minuti (molte sotto i due), e questo conferisce all'opera una velocità inaudita, rendendo omaggio al più naturale spirito punk. Dopo una sana scorpacciata di queste oltre due ore di musica si esce come da un'esperienza metafisica, come se James Brown fosse il leader dei Fugazi e avesse ospitato il gotha della soul music e del noise più estremo.
Tutto suona così garage, ma allo stesso tempo sembra di immergersi nello sgranato mondo blaxploitation, quasi si trattasse della colonna sonora del sequel del tarantiniano "Jackie Brown": ascoltate per credere "The Sharpest Claws", con quell'intro cattivo di basso oppure l'altrettanto aggressiva "Stuck Under My Shoe". Ci sono gli assalti sonori di "I'm Saving Myself For Nichelle Nichols", "Don't Bogue Me High" ed "Encrypted"; il brillante indie-pop di "Here Comes The Sound", "Cedar Point '76" e "Trainwreck"; le derive noise di "High Octane Salvation", "Correspondence" e "Brucia I Cavi"; gli sfiziosi falsetti di "Little Miss Chocolate Syrup"; il dissonante rock'n'roll di "Headlights On"; il momento acustico, ma sempre un po' disturbato, di "My Last Christmas".
Le cover talvolta restano abbastanza fedeli agli originali (vedi "I Started A Joke" dei Bee Gees), ma quasi sempre si trasformano completamente (vedi "Mystified" dei Romantics, che diventa un hit alla Lenny Kravitz, o "Kiss Kiss Kiss" di Yoko Ono, privata di ogni influenza orientale) risultando del tutto irriconoscibili, al punto da apparire quasi nuove creazioni. Sia nel caso dei pezzi autografi che delle cover, resta intatto l'approccio devastante di Mick Collins e compagni, che strapazzano i suoni in tutti i modi, pur mantenendo un retrogusto classicamente "black".
Per chi non si accontenta di un banale packaging, a completamento c'è un ricco booklet con foto e svariate annotazioni, alla faccia di quei dischi dove a volte si fa addirittura fatica a capire chi suona cosa. Talentuosi, intelligenti, multiformi, esplosivi, ma soprattutto soul-punk come nessuno prima di loro.
11/11/2005
Disc One: The Originals
Disc Two: The Covers