Stuart A. Staples

Lucky Dog Recordings 03-04

2005 (Lucky Dog / Beggars Banquet)
songwriter

Gli ultimi lavori dei Tindersticks avevano progressivamente smarrito il fascino degli esordi, impantanandosi in un pop orchestrale alla melassa, dai temibili risvolti soporiferi. Solo qua e là riemergevano brandelli di quel loro sound scuro e avvelenato d'assenzio, radicato nella tradizione del crooning d'autore (Walker, Cohen, Ferry, Cave) e ben lontano dagli stucchevoli carillon chitarristici che avevano infestato la Perfida Albione nell'era del britpop. Forse avvertendo che qualcosa si era spezzato nell'equilibrio della band (artefice di capolavori come "I" e "II"), il suo leader di sempre, Stuart Ashton Staples, ha deciso di svignarsela per un paio d'anni, rinchiudendosi in studio a registrare dieci nuove canzoni: le "lucky dog recordings 03-04", per l'appunto, dal nome della sua neonata label. A fargli compagnia, un manipolo di rinomati musicisti: Huge e Stout dei Tiger Lillies, Terry Edwards, Neil Fraser, Thomas Belhom, Yann Tiersen, Gina Foster e David Boulter. Ne è nato un disco che, se non aggiunge determinanti novità al repertorio del Nostro, presenta tuttavia qualche significativa sorpresa, al servizio di un songwriting al quale certo non fa mai difetto la classe.

Rispetto alle avvolgenti orchestrazioni della band di Nottingham, Staples sceglie di prosciugare il suono, distillandone l'essenza. Niente più arrangiamenti d'archi, ma ambientazioni scarne e minimali, costruite attorno a piano, organo, ottoni e chitarra. I "vuoti" sono così più numerosi e consentono alla voce di ritagliarsi uno spazio maggiore, divenendo spesso il vero leit-motiv del disco. Non così, però, nell'incipit strumentale di "Somerset House", una sognante ballata pianistica di Yann Tiersen, condita solo dai vocalizzi languidi di Gina Forster e da un gentile intervento di tromba. Bisogna dunque aspettare la seconda traccia, "Marseilles Sunshine", perché il protagonista entri in scena: sulla calma piatta di un organo minimalista e dei suoni vellutati del glockenspiel, Staples sfodera il suo baritono fatalista, da Cohen alla seconda bottiglia di whisky, accompagnato da una chitarra in sordina. Una torch song che non gronda lacrime, ma silenziosa furia, spalancando baratri psichici di Cave-iana memoria.
Questo mood nevrotico, da lunghe notti insonni, prosegue nella bossa nova da vampiri di "Friday Night" e assume contorni finanche curtisiani in "Dark Days", sorta di marcia funebre pizzicata sulle corde della chitarra e sussurrata col cuore in frantumi: "Oh the heartache that finds me the moment I wake...".

Altrove, Staples gioca la carta di un dandysmo gigione alla Ferry, caracollando tra l'uptempo di "Say Something Now" - con un riff circolare insidiato dal sax di Terry Edwards in un duello di corrosivi feedback - e il neo-soul di "She Don't Have To Be Good To Me", in cui l'intro di ottoni e maracas fa da sfondo a un incrocio impossibile tra timbri Motown e salmodie Smiths-iane.

L'altra novità di rilievo è l'apertura a sonorità blues-country, debitamente intorbidite da fumi d'oppio, come nella ballatona chitarristica di "Shame On You", ovvero Neil Young in catalessi tra cori femminili, e nella più sostenuta "People Fall Down", numero d'alta scuola con un avvio spaghetti-western alla Morricone e un susseguirsi spettacolare di stacchi di piano, echi spettrali, giri di basso e apoteosi di sassofono.

Quando l'ispirazione non lo sorregge, Staples si aggrappa al mestiere, facendo riaffiorare quel senso di ripetitività che è un po' il suo limite storico. L'esito complessivo, comunque, autorizza a ben sperare: se il romanticismo da camera dei Tindersticks resta un vertice forse inarrivabile, con questo suo primo lavoro solista Staples dimostra di non essere quell'entertainer imbolsito da night-club in disarmo che le ultime prove assieme ai compagni lasciavano immaginare.

05/08/2019

Tracklist

  1. Somerset House
  2. Marseille's Sunshine
  3. Say Something
  4. Friday Night
  5. Shame On You
  6. Untitled
  7. Dark Days
  8. People Fall Down
  9. She Don't Have To Bed Good To Me
  10. I've Come A Long Way