Una virata emozionante sulle ali di un pop psichedelico saturo e malinconico: questo appare essere "Surgery", terzo lavoro del combo losangeliano guidato da Bobby Hecksher (voce, chitarra) e dai suoi sei attuali compagni, sotto l'egida produttiva del noto Tim Rothrock (Beck, Elliott Smith, Badly Drawn Boy).
Il precedente e fortunato "Phoenix", pubblicato dalla Birdman nel 2002 ma giunto da noi a quasi un anno di distanza grazie alla Mute, aveva saputo colpire l'ascoltatore con una miscela sonora granitica e danzereccia, pura incarnazione del lato più cinicamente urbano dei Velvet Underground, consacrata dall'inno "Shake The Dope Out" e dalle lunghe cavalcate cosmiche ivi presenti.
Il nuovo disco, dopo l'intro "Come Save Us" che non avrebbe sfigurato sul precedente album, si immerge invece in un pop chiaroscurale sorretto da un muro di chitarre elettrificate che lascia filtrare lontani gridi di una dolce disperazione. La sezione ritmica è al solito magniloquente e potentemente fisica, campeggia forte del basso abissale di Jenny Fraser (memore forse della lezione di Jah Wobble) e di ben due batterie (Bob Mustachio e Jason Anchondo), sostenendo i pezzi con la sua solidità anche nei momenti più acidamente distorti e deformati.
La tentazione più immediata durante l'ascolto di "It's Just Like Surgery" e "Evil Eyes Again" è di controllare tra i credits se non compaiano per caso Gillespie o i fratelli Reid, tanto forte è la riproposizione del sound dei Jesus & Mary Chain da lasciare esterrefatti per pregnanza e cinematicità.
Ci troviamo in mezzo a un crogiolo fantasmagorico dai colori cangianti, tra degli Spacemen 3 spirituali e solenni (la "Thursday's Radiation" appare come un omaggio alla "Transparent Radiation" del capolavoro "The Perfect Prescription") e dei My Bloody Valentine appena più nitidi e definiti, per omaggiare, nella forma, i sacri padri velvettiani, aggiornandone i contenuti. La voce di Hecksher si rinnova cantando la catarsi di un dolore prossimo al collasso, fotografato proprio sul punto di crollare in un'istantanea che assume contorni estatici di una bellezza ermetica ma fulgida.
"Surgery" è stato registrato durante un anno turbolento per il gruppo, lacerato da cambi di formazione e problemi di droga di alcuni dei membri, e appare essere la risultanza di questo caos, cui si dà forma tramite la melodia (mai assente, sempre padrona dei pezzi) e l'intimismo: "Uh I Don't Feel So Good, No?/ I'm Coming Down With A Flu/ No? I Think It's Anxiety/ Wrapped Around My Head/ Wrapped Around My Hips".
La potenza musicale dell'ensemble si focalizza nel tratteggiare paesaggi interiori cremisi, densi di ombre e claustrofobiche luci intermittenti che si aprono ad assoli puntuali e solitari spalleggiati da rocciosi accompagnamenti ritmici. A volte il gruppo si lascia prendere la mano, certo, e a tratti il lavoro ripropone le medesime soluzioni sonore, ma in fondo tutto ciò sembra essere lo scotto da pagare per aver voluto impregnarsi esaustivamente di un mood malinconico e agrodolce.
"Surgery" appare quindi come il termine di una fase per gli "Warlocks", che dopo aver scandagliato la coolness olezzosa dei bassifondi e la melodica emozionale del dolore (esattamente le due anime del suono dei Velvet Underground, John Cale e Lou Reed), devono assolutamente trovare una strada maggiormente personale per non sprofondare nell'asettico citazionismo.
20/04/2010