Compresa la colonna sonora del film "About A Boy" questo è il quarto album di Badly Drawn Boy. A quattro anni dall'esordio, quindi, si può parlare di un artista maturo, che ha avuto modo di farsi conoscere ed apprezzare dal pubblico e dalla critica. Bisogna evidenziare che questo "One Plus One Is One" conferma in parte le perplessità che aveva suscitato l'album precedente, "Have You Fed The Fish?" del 2003, ovvero che, se l'artista britannico conferma da un lato un buon senso melodico e un'impronta riconoscibile, è evidente una specie di smarrimento dovuta all'incapacità di mettere a fuoco meglio le idee, o più semplicemente di non essere in grado di sostenere quelle maggiori ambizioni che sembrano essere l'obbiettivo di Badly Drawn Boy.
D'altro canto però conferma anche le doti che ce l'avevano fatto apprezzare sin dagli esordi. Difatti bisogna riconoscergli un alto merito, quello di ambire a un pop d'autore figlio di quello che potremmo definire un pensiero forte, che guarda agli interpreti più importanti che hanno creato la tradizione britannica colta del genere (Donovan, Costello, McCartney, Drake), in equilibrio tra folk e orchestrazioni più ambiziose. Tutto interpretato con quel piglio un po' naif che ha reso le prime opere di Badly Drawn Boy una piacevole sorpresa, considerando che, nella scena attuale, siamo soprattutto spettatori di musica pop leggera nel senso più ampio del termine, che punta a essere mero accompagnamento, tappezzeria sonora, delicata, per non dire priva di carattere, attenta a non disturbare troppo gli stati d'animo assopiti di fine giornata lavorativa. Ecco, all'artista inglese questo non interessa. Il suo si può definire un approccio vecchio stile, anche se ascoltandolo capiamo di trovarci di fronte a una persona comune, uno che vive un presente che possiamo immaginarci simile in tanti aspetti al nostro.
"One Plus One Is One" è dunque un disco che presenta alcuni spunti dove il piglio dell'autore di razza esce fuori, e che è attraversato da un tono, se non dimesso, perlomeno quieto, malinconico e confidenziale, domestico, come già avvenuto in precedenza nella discografia del cantautore inglese. Le doti spiccano ad esempio nel classico folk di "Easy Love", ma anche nella costelliana romanza di "This Is That New Song", e nell'impetuosa altalena emozionale da oratorio della conclusiva lunga "Holy Grail", dove il nostro utilizza un coro di bambini in maniera graziosa, meglio ad esempio di quanto non faccia nella settima traccia "Year Of The Rat", un buon pezzo che però cade un po' troppo in un'atmosfera da famigliola perfettina ritratta in uno spot pubblicitario natalizio.
Purtroppo, non mancano episodi deludenti, come l'inqualificabile imitazione Jethro Tull di "Summertime In Wintertime", lo strumentale bucolico "The Blossom", semplicemente brutto, qualche autocitazione che mostra un po' il fiato corto, altre sbavature negli arrangiamenti quasi sempre a causa della pretenziosità di alcune soluzioni, di quel pensiero forte che a volte non sembra saper utilizzare a dovere.
Il disco però si mantiene sempre su un livello gradevole, se non buono, e fa ancora ben sperare che in futuro l'artista britannico ci possa regalare altre perle di musica pop dal retrogusto classico.
15/11/2006