Dovrebbero chiamarla old-wave. Moda che si appresta a divenire decennale, con i capostipiti al terzo album e brulichio continuo di nuove leve all'esordio. I Tapes'n'Tapes, terzetto di Minneapolis, rientrano nel lato soleggiato del calderone: poche pretese, buone idee, qualche canzone sopra la norma. La formula è la solita. Saccheggio di riff e ritmi dagli anni ottanta, più, nel caso di specie, qualche spruzzata (ma giusto un filo filo) di novanta (Pavement, Pixies).
La prima cosa da misurare in band del genere è lo sparo. Questo è il turno di "Insistor", cow-punk su incroci di chitarre, shoot impostato, melodico ma un filo aspro (Chris Martin con un soffio di Frank Black), ritornello catchy e di qualità, arrangiamento a coniugare grazia e possenza. Bel colpo, non c'è che dire. Ad aprire il disco è invece "Just Drums", salita wave a girare, voce stavolta fra Casablancas e Meloy, urletti, colpi di batteria, rock da giovinastri. Bissa bene "The Iliad", fra soffi di flauto, acustiche e grigni elettrici, semplicità e bontà di costruzione al tempo stesso.
"Manitoba", uno degli highlights, segnala anche la capacità di scrivere ballad, note di xilofono e coretti, melodismo '60, coda esplosiva elettro-rock a sorpresa. L'epica "Omaha", note di piano e spazzolate jazzy di batteria, conferma la sensazione. Brani di qualità, insomma, magari non eccellenti, magari intervallati da altri non centrati alla perfezione (le sfumature funky e i morsi della finta jam "Crazy Eights"; il pop-rock squillante di "Buckle"). E poi l'altro sparo, "Cowbell", ancora cow-punk, furia trattenuta nell'inciso corale, con le chitarre ad arroventarsi quasi a vuoto, sino alla carica, urlata, finale.
Insomma, la base c'è, anche se sublima a intermittenza e comunque non a pieno. Cresceranno?
31/07/2006