Ecco così, servita su un piatto d’argento, la pistola per i suoi detrattori: la bisbetica irlandese è ormai fuori di testa, è pericolosa, va isolata. Eppure, nonostante gli annunci di ritiro, la presunta ordinazione a suora e i deliranti proclami mistici, Sinéad O’Connor, alias Mother Bernadette Maria, è ancora qui, a ricordarci che non ci si può sbarazzare così facilmente di una delle più importanti vocalist degli ultimi vent’anni.
Certo, questo doppio “Theology”, raccolta di inni e preghiere “da camera”, spesso solo voce e chitarra, può apparire l’ennesimo gesto sconsiderato, per di più accompagnato da propositi megalomani ("Sono un’attivista spirituale. Il mio interesse principale è liberare Dio, trarlo in salvo dalla religione"). Invece, mai come questa volta Sinéad sembra aver fatto pace con sé stessa e aver voluto davvero seguire solo la sua ispirazione, come ha ripetuto presentando il progetto: “Theology è un tentativo di creare qualcosa di bello, un posto di pace in tempo di guerra ed è la mia risposta personale a quello che è successo dopo l’11 settembre 2001”.
Il primo cd, “Dublin Session”, presenta i brani in versione acustica; il secondo, “London Session”, aggiunge l’arrangiamento con la band al completo. La rilettura attualizzata di salmi, inni e versi del Vecchio Testamento è integrata da otto inediti e tre cover: una versione soul di “We People Who Are Darker Than Blue” di Curtis Mayfield, il tradizionale spiritual “Rivers Of Babylon” (con un testo riveduto dalla stessa O'Connor) e una interpretazione (per la verità piuttosto fiacca e deludente) di “I Don't Know How To Love Him”, la stupenda ballata del “Jesus Christ Superstar” di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, portata al successo da Yvonne Elliman nei panni di Maddalena.
Il cd acustico, registrato con l’accompagnamento del folkster irlandese Steve Cooney, è forse più suggestivo, anche se sconta una certa piattezza nell’interpretazione (Sinéad, ahimè, viaggia ormai solo sul suo registro più sommesso e sussurrato), mentre il lato elettrico (prodotto da Ron Tom) regala qualche vibrazione in più, ma appare a tratti pasticciato e incerto negli arrangiamenti, tra pulsazioni sintetiche ed echi eighties. Eppure basterebbe l’iniziale “Something Beautiful”, intensa e struggente come ai bei tempi, oppure l'accoppiata di incalzanti ballate semi-acustiche "Out Of The Depths"- "The Glory Of Jah" per dare il la a quella resurrezione che i fan della ragazza dalle calde lacrime di "Nothing Compares 2 U" non hanno mai smesso di sognare. Se non altro, c'è la consapevolezza di possedere ancora le armi per graffiare, senza doversi affidare a maghi dell’hit facile come avvenuto (invano) su “Faith And Courage”.
Pur dibattendosi da anni tra devastanti lacerazioni personali e ferite familiari ancora aperte, la pasionaria di Dublino non ha smarrito la sua ansia spirituale e il suo feroce candore. Ne è scaturito un disco onesto e sincero, ma probabilmente più utile a lei che a noi.
(28/08/2007)