Alexander Wilke, in arte Alec Empire, è personaggio che si è negli anni meritato il massimo rispetto. Per quanto creato con i suoi Atari Teenage Riot e per una carriera solista che ha lambito con interesse e curiosità una gran varietà di stili, mutazioni e contaminazioni. Sino al doppio album "Intelligence & Sacrifice" che qualche anno fa rappresentò la vetta, e la summa, del suo percorso artistico.
Fatta questa premessa necessaria, si può passare a stroncare senza appello questo disastro a nome "The Golden Foretaste of Heaven". Che è successo al prode Alec? Già il confuso "Futurist" - nulla più di una ennesima brutta copia dei Ministry - aveva dato segni preoccupanti. Oro colato però al confronto di questo "Golden Foretaste", che è un crollo verticale, senza mezzi termini il peggior risultato della sua carriera.
Del caro vecchio "digital hardcore" non è rimasto nulla, tutto si è stinto in un innocuo ibrido di rock stantio ed elettronica di terza mano. Magari illudendosi anche di fare tendenza, genere ultima moda berlinese buona al massimo per figli di papà che vogliono fare gli alternativi. In questo senso, il massimo risultato che Alec riesce a raggiungere è sfornare un paio di passabili singoletti per dj di bocca buona, "New Man" e "Ice", e di quest'ultima non inganni l'incipit, modellato sulla reznoriana - guarda caso - e mitica "Closer".
Il resto dell'album affonda nella noia.
La sapienza di Alec in cabina di regia garantisce suoni squadrati e precisi, ma non basta certo questo a salvare una vena artistica così involuta e impigrita. Persa l'urgenza espressiva che incendiava le pagine migliori della sua musica, Alec sembra non aver più voglia nemmeno di osare e sperimentare. Preoccupante sintomo.
La voce si è fatta insopportabile, i soliti slogan balbettati senza convinzione, la scrittura non è più capace di sorprendere, e nella mediocrità generale la carriera di Alec tocca il suo punto più basso con una imbarazzante "Down Satan Down", electro-accozzaglia che nemmeno i peggiori Lcd Soundsystem.
Non convincono nemmeno i brani più pesanti, come "Death Trap" e "On Fire". La prima annegata in beat distorti e spompati, la seconda banalmente rockettara. La pur apprezzabile, benché prolissa, parentesi al ralenti di "1000 Eyes" non riesce certo a risollevare le sorti di un'opera senza scopo, senza vita, senza identità.
Se questo è dunque il "New Man" Alec Empire, non c'è da stare allegri; c'è solo da sperare che da qualche parte sia ancora vivo il giovane e creativo terrorista del suono che per anni abbiamo ammirato. Malinconica considerazione che è l'unica cosa che "The Golden Foretaste..." lascia nella memoria prima di compiere il suo rapido viaggio verso il cestino.
09/01/2008