Il quintetto di Seattle Fleet Foxes è tra le più affiatate rivelazioni pop da inizio d'anno.
Questo omonimo esordio su lunga distanza segue al breve, ma suggestivo, Ep "Sun Giant", e propone un composto soft-pop di sembianze soleggiate e vispe, intriso di armonici umori retrò e rigogliose cromature d'afflato corale, mai tronfie o roboanti, d'intenso respiro.
Ricorrente ascoltandoli, al pensiero del fan, il talento folk-pop di Harry Nilsson, cantore delle gesta del Joe ragazzo di vita del film "Un uomo da marciapiede", poi interprete della celeberrima "Without You" rilanciata da Mariah Carey.
Ma torniamo al nostro gruppo, il cui nome completo recita "Fleet Foxes, Ruiner of Worlds": essi non si percepiscono esattamente una "rock band" e a loro dire, suonano... Baroque harmonic pop, music from fantasy movies.
A questo melange, aggiungono cori alla Motown, diluiti in paesaggistiche fantasie strumentali.
L'album "Fleet Foxes", pubblicato dai concittadini della Sub Pop, inquadra gioiosi inni celebrativi, tutto ciò che ispiri stupore e armonia, come la candida "White Winter Hymnal", "Your Protector" coi suoi retaggi western, o la celestiale baruffa "He Doesn't Know Why". Ma c'è posto anche per i mesti avvalli di "Tiger Mountain" e "Ragged Wood", restituendo, non senza appropriate ambiguità e mistero, visioni utopiste sibilline e "odorose" al pop recente.
Un vago, solfureo sentore psichedelico culla infatti e agisce come un soffice analgesico.
S'è al cospetto di brani nostalgici e crepuscolari in girotondo, aromi bucolici e soavi, impeccabili armonie vocali; senza sbavature, rigonfie come risacche, alternate a nostalgici toni confidenziali.
Un misto elettrizzante d'enfasi e di purezza, di stordente esotismo ("Quiet Houses", "He Doesn't Know Why", "Heard Them Stirring") che panneggia ed esprime luoghi ancora inviolati.
La strumentazione che scorta i candidi inni vocali del quintetto si basa essenzialmente su chitarre, corde acustiche pizzicate con dovuta grazia ("Blue Ridge Mountains") o elettriche squillanti, lisergicamente. L'ambiente si agita e ravviva appaiandovi sussulti percussivi.
Si evocano Eldorado arcadici e intonati menestrelli in marcia, spesso in grado di concretare e ringiovanire eminenze quali Paul Simon o Jimmy Webb dei rispettivi esordi anni 60, ma anche, ad esempio, i recenti fasti dei canadesi Hidden Cameras.
Magari in alcuni momenti del disco, avremmo auspicato minori caparbietà e qualche lungaggine in meno sul tappeto sonoro, che rischia di non spalancare "il telo". Ma l'esuberanza di questi giovani all'esordio è contagiosa quanto basta.
Questo esordio è stato oggetto di culto da abbondanti mesi prima della sua pubblicazione; va a comporre un magico duetto, assieme al già menzionato anteriore Ep "Sun Giant", identico formalmente e più a tutto tondo.
06/05/2008