Il sestetto dimostra grandi qualità di composizione, spaziando fra tentazioni country, momenti più solenni e dolcezze pop di prima scelta. I ritmi sono spesso accostati in maniera un po’ confusa ma tutto sommato non discordante, anche perché in questo caso la varietà giova in maniera decisa al risultato finale. Nei frangenti in cui decidono di lasciar da parte la voce, sanno pennellare ottimi momenti strumentali in cui si mescolano sensazioni camaleontiche (il finale di “Grasshopper”, la coda di “Fields Of God”) e pregevoli incastri fra elettronica accennata e delicate intarsiature chitarristiche (la splendida “Colors” ne è un esempio lampante).
La seconda parte del disco mostra attitudini radiofoniche rispettabili e non stucchevoli (su tutte “Birthday Call”).
Purtroppo va annotata la lunghezza eccessiva dell’album, gonfiata da alcuni riempitivi la cui presenza non aggiunge fascino né funge da spartiacque fra le varie sezioni.
Tirando le somme, l'album presenta picchi compositivi ben congegnati, ma si cimenta con una consistenza troppo elevata, d'altronde 14 brani sono molti e reggere quasi 40 minuti di musica senza cadute non è semplice. Aspettiamo il prossimo disco per celebrarli.
(17/02/2008)