Un nome nuovo per un incontro inedito nel panorama musicale nostrano. Revglow è la sigla sotto cui si presenta un duo lui-lei che costituisce soprattutto un esperimento estemporaneo, mirato a coniugare esperienze tra loro diverse: lui è Francis Gri, già negli oscuri All My Faith Lost e più di recente impegnato nel suo progetto ambient-acustico Apart, mentre l'identità di lei è avvolta nel mistero dell'alias Lilium, finora presente in alcune collaborazioni con band e artisti dell’area milanese. Lui tesse trame strumentali, alternando pianoforte ed elettronica, lei contribuisce con le sue espressive qualità di vocalist.
Il risultato è "Liquid Pearls", curata autoproduzione (senz’altro meritevole dell’attenzione di qualche label), che lascia trasparire fin dal titolo un intento di fragile perfezione e di bellezza solo in apparenza fredda ma in realtà non priva di inquiete venature emozionali.
Soprattutto la parte iniziale del lavoro presenta la fisionomia che ci si sarebbe potuti attendere pensando al retroterra artistico di Francis Gri: atmosfere tenebrose e fascino gotico, evocato prima dal minimalismo pianistico e dagli eterei vocalizzi della breve e spoglia "Nude" e poi dalle sfumature ancor più oscure della successiva "Soft Seas", ove le note si fanno nervose e si affaccia un battito elettronico accompagnato da qualche arpeggio acustico.
Potrebbe apparire un ritorno ai paesaggi sonori degli All My Faith Lost, reinterpretati secondo una rinnovata chiave elettroacustica; invece, il prosieguo di "Liquid Pearls" rivela un lavoro ben più articolato e ambizioso, che pur mantenendo un aspetto elegante e vagamente sinistro, va a lambire territori musicali più decisamente elettronici e contrassegnati da seducenti melodie, delineate dalle qualità vocali di Lilium, sempre molto espressiva nelle sue interpretazioni, nonostante talvolta si lasci prendere da un'enfasi evitabile, finendo per appiattirsi un po' troppo sull'innegabile modello di Björk.
Non è solo la voce a far pensare a tratti all'artista islandese, ma anche le basi che già in “Shame” mostrano battiti portanti il cui andamento compassato e ipnotico è scosso dagli arabeschi disegnati dalla voce di Lilium, producendo un effetto che è difficile non accostare a quello di “Vespertine”. Il semplice incedere elettronico non scompare nella parte restante dell'album, trasformandosi via via in suoni elettroacustici più dolci e cristallini, alternati a repentini passaggi claustrofobici (basti vedere la variazione di registro di "Lost Reflection") o scolorando a semplice accompagnamento alle note acustiche di "Human Jar" e al gradito ritorno del pianoforte nella liquida "Daze", validi esempi della capacità del duo di oltrepassare canoni prevedibili, valorizzando suoni e strumenti diversi, tra i quali è proprio il pianoforte di Francis a meritare una menzione particolare.
Esperimento nel complesso riuscito, nel suo intento di evocare una bellezza pura e raffinata e di fatto rispondente a sufficienza alle suggestioni evocate dal titolo.
17/01/2009