“Inspiration Information” è un nome splendido per una serie. Se “DJ Kicks” è diventato un nome da 90, diciamo grazie all'idea della musica disco da casa, ma anche al nome più che azzeccato. “Inspiration Information” è una serie della charmante Strut Records che è destinata a fare questa stessa gloriosa fine, per svariati motivi. Il primo è perché il nome spacca. Il secondo è perché è una serie (e ciò significa avere un progetto, un'idea trainante, un'ambizione, ed è prevista la "collezionabilità"). Il terzo perché gli album finora pubblicati (tre) hanno qualcosa da dire.
Non una storia sola, ma molte, intrecciate. Un discorso che vale per tutte riguarda l'idea di fondo, quella semplice ma geniale idea di mettere in studio di registrazione una band, di culto, come possono essere gli inglesi Heliocentrics, e un loro padre ispiratore, come può essere l'etiope-americanizzato-oggi(quasi)europeo Mulatu Astatke.
Si era sentito parlare pochissimo di lui prima d'ora. Probabilmente nel 2005 in occasione della colonna sonora di “Broken Flowers” di Jim Jarmusch, dove c'erano alcuni brani tratti da “Hethiopique IV” (volume che riscopre il fine 60-inizio 70 di Astatke). Sono certa però che in Etiopia i Beatles li conoscano. E lui è il McCartney etiope: se il dono di McCartney è saper scrivere canzoni magnifiche, il dono di Mulatu Astatke è quello di saper creare un suono magnifico. Ma non è solo questo ad accomunarli: nei tardi 60, mentre McCartney si rifugiava negli "strawberry fields" di Oxford Street, Mulatu suonava e componeva le radici dell'ethio-jazz nella "Swinging Addis", Addis Abeba, sì, proprio lì. Incontra Sun Ra (con cui ha evidenti affinità), suona con l'orchestra di Duke Ellington in Etiopia, si afferma fra i musicisti africani di maggior calibro e si diverte a confondere i ruoli delle origini con quelli degli sviluppi. C'è una "source", che è l'Africa Orientale, e c'è un "target" che sono gli Stati Uniti: grazie alla source, nel target nasce il jazz, come sviluppo concatenato di ritmiche afrocubane e di intrecci creoli che solo lì potevano sorgere. Là, in Etiopia, nasce l'ethio-jazz, contaminazione di jazz e funk di stampo occidentale, melodie tradizionali etiopi, arrangiamenti su scale pentatoniche ed elementi dalla musica dell'antica chiesa Copta (di origine egiziana).
Mulatu insieme agli Heliocentrics, chiusi in uno studio di East London, arriva a produrre un album che risente molto della sua influenza “Hethiopique IV” (tanti gli strumenti tradizionali, krar, washint, vibrafono), ma che riesce a essere altamente contemporaneo e orchestrato su misura: gli incastri dei diversi strumenti, così come i loro giri perpetui, trovano una collocazione mai banale nei 14 brani strumentali. Grazie agli Heliocentrics, Astatke suona così moderno: loro sono un raffinato gruppo inglese che ruota attorno al groove jazz-funk-elettronico del batterista Malcom Catto (già collaboratore di Madlib e Dj Shadow) e che rielabora le lezioni di Sun Ra con un'attitudine black, funky e hip-hop.
Con loro il musicista etiope di mezza età suona sexy, so sexy...
C'è da ascoltare il tema della terza traccia ("Addis Black Widow"): ci sono fiati sporchi che si muovono per semitoni lungo un tema fisso. Sotto, una base ritmica che ha qualcosa a che fare con la drum'n'bass unita alla fissazione analogica tipica del kraut. I fiati si arrestano e inizia il dialogo stereofonico fra una chitarra distorta wawa, un flauto sfiatato e una percussione incessante sul fondo. Un approccio simile accade in "Dewel". "Mulatu" è un pezzo più yeah, come "Esketa Dance": il ritmo sincopato accompagna un cocktail da spiaggia, ma il roteare dei fiati seguito dal vibrafono di Mulatu, impaginati su questo sfondo ritmico scapestrato, fan sì che la psichedelia diventi la cornice da cui osservare il lavoro. C'è tanto da ascoltare, e ancora molto di cui prendere nota. Io inizio ora, torno indietro, faccio un passo avanti, e osservo Strut Records. Fidatevi.
19/03/2009