Per il seguito discografico di "Dividing Opinions", i Giardini Di Mirò hanno pensato a una sonorizzazione di una pellicola d’inizio secolo, in modo perfettamente analogo ai Marlene Kuntz ("Signorina Else", ndr), ai Massimo Volume ("La caduta della casa degli Usher", esclusivamente live, ndr) e al recente "Man Of Aran" dei British Sea Power (oltre agli splendidi accompagnamenti degli Yo Yo Mundi).
La forza delle immagini del film di partenza ha evidentemente infuso nuova ispirazione alla band di Cavriago; l’album che ne risulta è strutturato secondo tre grandi aree sonore, tre grandi movimenti di una possibile sinfonia post-rock.
Il primo, "La favilla", comprende i primi sette brani. A partire da un preludio glaciale, attacca una sonata da camera che prende le più diverse connotazioni; talvolta swing funebre ("xx"), talvolta magniloquente al punto che l'orchestra è incaricata di sostituire la tipica distorsione shoegaze ("xxx"), pur con risvolti liturgici, talvolta quasi ambientale (il "tema" di "xxxxx"), talvolta cinematica alla Nino Rota ("xxx"). Negli ultimi momenti di questo "andante" iniziale, la band utilizza percussioni dosate, droni ventosi e tocchi di tastiera, fino ad aumentarne spasmodicamente la tensione al limite della marcia seriosa.
"La vampa" è il momento più emozionante, e insieme quello più avventuroso, un vero superamento dello standard qualitativo del complesso. La prima "∞" è drone music dissonante con effetti sonori e eventi random, e un crescendo di suono kraut a valanga. La seconda è una magica corsa di chitarre tintinnanti psych alla Ash Ra Tempel (e batteria motorik insistente). La terza è un duetto suicida di orchestra ondeggiante e un vortice di scosse elettroniche tremebonde, poi rappreso in un cupissimo diminuendo-decrescendo.
"La cenere" è improntato al battito cardiaco della batteria, che percorre entrambe le "†"; dapprima intona una marcia funebre per piano e ottoni, con glissando chitarristici in lontananza e timbri elettronici spettrali, quindi acquista spessore e sprofonda in un calderone di suoni alieni.
Qualche mancato lavoro di lima, comunque subordinato alle (e giustificato dalle) esigenze filmiche del trattamento del mediometraggio - 1915, regia di Giovanni Pastrone, con la supervisione di Gabriele D'Annunzio - non inficia un tentativo di sublimazione strumentale dall'aureo risultato. La più antiretorica, venusiana, concertante e sconcertante sonorizzazione italica; la migliore, almeno nel decennio 2000. Luca Di Mira sale in cattedra.
07/09/2009