Chi si è imbattuto in una delle innumerevoli date dal vivo che, senza lesinare energie, i Port-Royal hanno disseminato in giro per l'Italia e l'Europa dopo l'uscita di "Afraid To Dance" poteva forse già presagire qualche cambiamento nel registro della band genovese, nella direzione di una enfatizzazione dei ritmi e delle componenti sintetiche più profonde della loro musica.
Che sia tempo di cambiamenti dei Port-Royal lo si evince anche dalle modalità di pubblicazione del nuovo album che, dopo la chiusura della benemerita Resonant, vede adesso la luce attraverso una vera e propria syndication planetaria, facente capo a quattro diverse etichette europee e all'americana n5md per il resto del mondo.
Concepito nel corso di ben tre anni, "Dying In Time" racchiude il frutto delle tante esperienze e collaborazioni maturate da Attilio Bruzzone e soci, che sono andate di pari passo con i crescenti consensi ottenuti su scala ormai planetaria.
Se "Flares" era stata una piacevolissima sorpresa e "Afraid To Dance" una conferma di rara maturità, gli oltre settanta minuti del nuovo lavoro incarnano un graduale mutamento di rotta, pur nel segno di una continuità sulla quale i Port-Royal lavorano di cesello, incardinando elementi nuovi sul loro consolidato tessuto sonoro e palesando suggestioni in precedenza ravvisabili soltanto tra le righe.
Da un lato, l'album esaudisce la facile aspettativa di ritmi più serrati, bassi profondi e linee ritmiche febbrili; dall'altro, la transizione verso una formula di elettronica diretta e (più o meno) ballabile è tutt'altro che scontata e anzi esplicitata solo in sporadiche occasioni, venendo piuttosto quasi sempre affiancata da una notevole varietà di soluzioni, che affondano le proprie radici in un fertile humus dalla ricca composizione di retaggi shoegaze e reminiscenze sintetiche, aggiornate e convogliate in un contesto in perenne trasformazione.
Nonostante la spiccata definizione dei caratteri di gran parte degli undici brani compresi in "Dying In Time", quasi tutti presentano cospicue variazioni interne, che costituiscono appunto gli elementi che impediscono di liquidare il lavoro come il semplice risultato di accelerazioni ritmiche e di una maggiore apertura dei Port-Royal all'immediatezza comunicativa. Nell'album non mancano episodi dall'incedere trascinante - tra tutti, "Nights In Kiev" e l'anthemica, intensissima "Balding Generation (Losing Hair As We Lose Hope)" - ma anche in questi finiscono per affiorare dissolvenze e flutti liquidi che rimandano alle origini della band o, al limite, sviluppano una peculiare (deca-)dance, costruita su texture dilatate e percorsa da sciabordii, impennate sintetiche, ma anche riverberi, suoni analogici e calde pennellate organiche.
L'album sembra infatti qualcosa di molto simile al risultato di un gioco ad incastri tra questi elementi fondamentali, miscelati con sapienza tanto in funzione di smussamento della rinnovata enfasi ritmica quanto di vivificazione di placidi passaggi ambientali, talora segmentati, come nel caso di "Exhausted Muse/Europe", da improvvise incursioni di synth e tastiere pronunciate e luminescenti. Inoltre, l'inserimento in quasi tutti i brani di frammenti vocali eterei (ad opera di diversi ospiti, tra i quali l'interessante artista giapponese Izumi Suzuki, aka Linda Bjalla) traccia corpose linee melodiche, che accentuano la fisionomia dreamy ma al tempo stesso estremamente densa di un lavoro di elettronica pulsante e vitalissima come raramente capita di ascoltare, tanto più da parte di una band dal retroterra eclettico come i Port-Royal.
E non è certo da tutti riuscire a tradurre, nel corso dello stesso album, evanescenze shoegaze al tempo dei laptop, mantenendo nel contempo gli abbracci emotivi degli aspetti più dilatati dell'originaria matrice post-rock e recuperando con classe suoni sintetici filtrati attraverso esperienze che vanno dall'elettronica teutonica fino agli Autechre e ai Boards Of Canada. Il tutto, (verrebbe da dire "ovviamente"), con una naturalezza tale da poter essere apprezzata anche da quanti non masticano abitualmente questo tipo di sonorità.
C'è da scommettere che adesso il pubblico dei Port-Royal non dovrà più aver timore di ballare alla loro musica. E se ci sarà da obiettare che, in fondo, anche stavolta non esattamente a quello è destinata, vorrà dire che la danza inarrestabile sarà quella delle sinapsi impegnate a trasmettere l'incessante dinamismo di composizioni pervase da una miriade di fremiti e variazioni.
02/10/2009