Non è un caso che i Bees provengano dall’isola di Wright: la loro musica è fuori dalle coordinate temporali, ed “Every Step’s A Yes” non è revival o vintage, ma solo un tesoro riconsegnato alla luce. Le deliziose note pop che animano “Really Need Love” possono sembrare leggermente stucchevoli, ma nulla di ciò che segue ripropone le stesse nuances svenevoli, poiché altrove vibra una fiammella che conforta con tepore ogni nota e ogni sussurro; fiumi di psichedelia si riversano tra vibrazioni country in odore di Simon & Garfunkel in “Silver Line”, riadattando il romanticismo lo-fi con mandolini e arpe che sfilacciano le trame armoniche rielaborandole con nuove vesti nel caleidoscopico insieme lirico di “Pressure Make Me Crazy”.
Quasi un incrocio tra le pulsioni acustiche dei Fleet Foxes e la quiescenza armonica dei Love, un ritratto completo del pop mesmerico e solare che comprende le facilonerie degli America in “Tired Of Loving”, ma le priva della prevedibilità intrinseca, senza dimenticare il lato oscuro del folk-rock-psichedelico nel flessuoso slow-waltzer di “Island Love Letter”, che sembra uscire dalle migliori pagine dei primi Pink Floyd.
È difficile resistere al contagioso beat in salsa reggae di “Winter Rose”, che cela malinconiche trame caraibiche sotto un manto di note sfavillanti e un refrain di trombe delizioso, delizie che infettano anche la ballad “No More Excuse”, che profuma d’oriente con sitar, carillon, melodica, tromba e organo.
L'album è ricco di atmosfere morbide e flessuose, che evocano Beach Boys e Byrds, flirtando con il pop dei Os Mutantes nella brillante “Gaia”, che chiude l’album tra effluvi strumentali e mariachi elaborati con la complicità di Devendra Banhart. L’evidente rinuncia a toni superlativi aggiunge poi grazia alle languide note di “Skill Of The Man”, frantumando i ritmi come onde sulla roccia.
In verità, ogni album dei Bees contiene degli esemplari di rara fattura, ma questa volta il contorno è all’altezza: “Every Step’s A Yes” è il trionfo del pop come avventuroso panorama di emozioni, un pop che lascia fuori la contaminazione urbana dell’elettronica, confonde la saudade con la psichedelia e ridesta dalla noiosa sindrome lo-fi la malinconica allegria e l'originale prevedibilità delle canzoni. Un insieme avvincente per uno degli album pop più strambi dell’anno.
(21/12/2010)