A due anni dai rilucenti torpori ambientali di "Maybe They Will Sing For Us Tomorrow", Marc Byrd e Andrew Thompson riaprono l'inesauribile scrigno sonoro denominato Hammock, nuovamente offrendo oltre un'ora di musica nella quale immergersi con un tuffo al rallentatore e lasciarsi trasportare da correnti sonori carezzevoli e impalpabili.
Il duo originario di Nashville, peraltro già non nuovo a mutamenti di rotta nella sua dimensione espressiva, si ripresenta adesso sulle ali di un'esperienza umana e artistica particolarmente significativa, rappresentata dalla condivisione del palco con Alex Somers e Jónsi Birgisson, fin da prima del loro debutto discografico "Riceboy Sleeps". Se quell'esperienza era collocata già nel periodo anteriore rispetto al disco precedente, i suoi frutti, nel suono e nel piglio degli Hammock, si colgono in "Chasing After Shadows... Living With The Ghosts" in maniera ancora più compiuta e percettibile.
A differenza dei caleidoscopici affreschi di chitarre, pedali e filtraggi elettronici di "Maybe They Will Sing For Us Tomorrow" - album di statica e afasica magnificenza - il nuovo lavoro presenta un piglio più organico, più "suonato" e una maggiore varietà di soluzioni sonore, comprensive di maestosi arrangiamenti d'archi, fiati, percussioni e distanti echi verbali.
Non più (solo) ambient liquida e impalpabile, dunque, ma vere e proprie cattedrali di suono, decisamente più concrete che in passato, così come concrete e riconoscibili diventano le fonti strumentali di base, che siano corpose folate di archi romantici o riverberi chitarristici che, fin dall'iniziale "The Backward Step", sembrano omaggiare, declinandole al tempo presente, le sognanti astrazioni impresse indelebilmente da Robin Guthrie nella musica dei Cocteau Twins.
Così, nel corso di "Chasing After Shadows... Living With The Ghosts", pennellate dreamy si intrecciano con esili filamenti che rimandano alle eredità concettuali più dilatate del post-rock e dello shoegaze, disegnando paesaggi immaginari difficili da non ricondurre alle vaporose suggestioni dei Sigur Rós, soprattutto quando alle sinfonie ambientali degli Hammock si uniscono distanti vocalizzi e reiterati rilanci armonici emozionali ("Breathturn", "Dust Is The Devil's Snow").
Nonostante l'impianto complessivamente più denso e articolato dei brani - peraltro ben esaltato dalla produzione curata dall'ex-Church Tim Powles - il duo americano non smarrisce la propria attitudine nei confronti di tessiture più tipicamente ambientali, riportate in primo piano dalle sole "In The Nothing Of A Night" e "How Can I Make You Remember Me?". Altrove, invece, è tutto un equilibrato lavorio di addizione, che si tratti di cadenzate ritmiche "reali", di calde note acustiche come quelle di "Andalusia", o ancora di granulose saturazioni in progressivo sfaldamento.
Quali che siano i loro elementi, tutte le composizioni di "Chasing After Shadows... Living With The Ghosts" mantengono il comune denominatore di tonalità avvolgenti, di un suono che travalica schemi e definizioni, rinnovandosi pur restando fedele a se stesso, nelle sue innumerevoli stratificazioni in dolci spire, mai in passato così luminose e intrise di sensazioni positive.
Al di là dei fantasmi del titolo, gli Hammock sembrano offrire il superamento delle ombre, la rassicurazione di un rifugio emozionale. Ne indicano la via: quella dell'abbandono liquido, dell'immersione in un sogno ad occhi aperti della durata di ben settantadue minuti.
18/05/2010