Come trovarsi d'un tratto abbagliati all'alba. Svegliarsi, stropicciarsi gli occhi ancora intorpiditi e scoprire un fascio di luce, maestoso e accecante, che filtra dal lucernaio. Affacciarsi e ammirare il paesaggio: questi sono gli Hammock.
Per la sua quarta prova sulla lunga distanza, la band del Tennessee, da sempre impegnata nell'esplorazione di sonorità morbide ed evanescenti, ritorna con decisione all'essenza più pura della sua musica, tralasciando le più definite strutture melodiche e gli accenni dreamy presenti nel precedente "Raising Your Voice... Trying To Stop An Echo", ottimo lavoro risalente al 2006.
"Maybe They Will Sing For Us Tomorrow" segna infatti una nuova, completa immersione in raffinatissimi territori ambientali, generati dall'accurato filtraggio elettronico dei suoni, ma accostati a una sensibilità orchestrale tradotta nel frequente accompagnamento degli archi, che arricchiscono di contenuto emozionale dilatazioni eteree, non prive di nebbiosi accenti artici, non distanti dalle armonie più delicate e impalpabili dei Sigur Rós e dei Windy & Carl.
Ne risulta un lavoro piano e omogeneo, eppure per nulla monotono nella sua ora di durata, che riesce a creare un ininterrotto fluttuare di coscienza, sospeso su loop rallentati con maestria, riverberi luminescenti, e drone finissimi. La sensazione generale è quella di una placida liquidità sonora, molto prossima al lento fluire raggiunto ai massimi livelli da artisti quali Stars Of The Lid ed Eluvium, nomi facilmente accostabili alle sonorità degli Hammock, i primi per l'aspetto delle lente ma costanti variazioni armoniche, il secondo per il contenuto emozionale racchiuso nelle tante onde orchestrali che connotano questo lavoro.
È infatti sufficiente travalicare la superficiale sensazione di piattezza - che a torto spesso viene rimproverata a questo tipo di musica - per scoprire come l'album non scorra soltanto attraverso l'iterazione e la modulazione di suoni lenti e dilatati, bensì presenti variazioni graduali in grado di superare la stasi apparente in crescendo emozionali tanto lievi quanto intensi, come quelli della title track e di "This Kind Of Life Keeps Breaking Your Heart" o nelle increspature di "Mono No Aware", probabilmente il brano più riuscito dell'intero lavoro con le sue delicate spirali in reverse e le romantiche dissolvenze finali sulle ali degli archi. E il trabocchetto della noia la band lo supera con estrema nonchalance, giocando tra rarefatte atmosfere dal sapore teutonico - si pensi pure a certa kosmische musik - e visioni paradisiache. È questo il caso di "City In The Dust On My Window", traccia che si dipana tra le anse del cuore, toccando le corde più profonde, e proponendo un mood tanto malinconico quanto limpido e sognante.
Non v'è spazio per visioni sinistre: sottili drone esaltano l'incantevole bellezza che si sprigiona nei quasi sei minuti di "Eighty-Four Thousand Hymns". A chiusura ideale del disco, giunge "We Will Say Goodbye To Everyone". Certi che sarà solo un arrivederci, questa traccia, prima della breve conclusione che risponde al titolo di "All Of Your Children Are Addicts", si sviluppa tra un’austerità degna del classicismo wagneriano, in bilico perenne tra tensione ideale e forza materiale, in un tripudio di suoni che avvolgono e nel contempo rassicurano. Loop soffici edaccomodanti sviluppano una placida sensazione di benessere, un vuoto che a poco a poco si riempie in un crescendo morbido, senza lasciare spazio ad alcuna spigolatura.
Punto di incontro e sintesi tra la scuola Kranky e quella ambient-mittleuropea, "Maybe They Will Sing For Us Tomorrow" si propone come ideale modello per chi intendesse approfondire il genere. Tessendo le fila attraverso un'abile capacità compositiva, gli Hammock sono riusciti a delineare, quasi didatticamente, la colonna vertebrale di un approccio ambientale tanto emozionante quanto concreto. Forse canteranno per noi un domani, nel mentre confidiamo solamente che continuino a svelarci il mattino come nessun altro sa fare.
30/04/2008