Chissà quanti storceranno il naso, nel sentire Ted Leo intonare con fare adrenalinico il primo verso dell'iniziale "The Mighty Sparrow"... "The Brutalist Bricks", il quinto disco della sua creatura (escludendo una prima uscita in cui la band ancora non compariva), troverà resistenza nello scalfire gli animi alternativi più induriti, alieno com'è dalle infiocchettature avant, etniche, wave-revival, e così via, che paiono imperare nello scenario attuale. Eppure, pur con un Ted Leo che festeggerà quest'anno i temuti quaranta, suona più vitale e fresco di molta altra produzione più giovanile: la carica trasmessa dalle canzoni (sembra quasi inusuale trovarne in cotanto numero) si fa tangibile col procedere degli ascolti.
A tenere a distanza gli scettici pensa, probabilmente, l'anima smaccatamente positiva di questo disco, in cui l'ardore punk ("Where Was My Brain", "Gimme The Wire") si trasforma in solari motivi di power-pop costelliano. In uno slancio di fiducia obamiano, si passa da dichiarazioni bellicose ("There was a resolution pending on the United Nations floor / In reference to the question 'What's a peacekeeping force for?' ") a tormentoni da spiaggia ("Tell the bartender/ I think I'm falling in love") nello spazio di una canzone ("Bottled In Cork"). Sprazzi di animal house spensierati ("Ativan Eyes", "Bartolomeo And The Buzzing Of Bees"), melodie anche irresistibili convivono con riflessioni del tutto personali di Ted Leo, a formare uno zibaldone on the road (come nel mantra di "Tuberculoids Arrive In Hop").
Forse meno rifinito, meno succulento dal punto di vista strettamente musicale dei lavori migliori dei Pharmacists (va citato "Hearts Of Oak"), "The Brutalist Bricks" si fonda solidamente sul dialogo spesso divertito tra Ted Leo e gli inappuntabili (per limpidezza e fervore) musicisti che lo accompagnano: James Canty (fratello del batterista dei Fugazi, Brendan) alla chitarra e Chris Wilson alla batteria. Si veda ad esempio come duetta il sussurro di Ted con il giro di basso e con l'assolo di chitarra di "One Polaroid A Day".
Insomma, zitto zitto, Ted Leo si sta aprendo un pertugio nell'immaginario del rock indipendente americano, senza forzare pose contro il sistema alla maniera (ormai stantia) degli ultimi Green Day ma continuando a fare, semplicemente, ciò che ha sempre fatto: dire ciò che pensa e suonare la musica con cui si sente più a suo agio. Forse è questo il segreto di una carriera longeva e imperturbabile come la sua.
23/03/2010