Karl Popper avrebbe amato gli Enten Hitti: vuoi perché ne avrebbe apprezzato la loquacità armonica, vuoi perché anche loro, come lui, si sono arresi all'evidenza dell'impossibilità di richiamare il generale dal particolare.
La musica del duo composto (principalmente) da Pierangelo Pandiscia e Gino Ape è a uno stato successivo a quello della ricerca etnomusicale portata avanti nel corso di una carriera ventennale. Enten Hitti è infatti la sublimazione dei suoni attraverso loro stessi e per mano di combinazioni ardite di strumenti dello sciamanesimo e flauti armeni, di percussioni e di un uso essenziale, misurato delle voci.
Chi approcci "La Solitudine del Sole" con la sete di una conoscenza quasi empirica resta inevitabilmente deluso da un processo di deduzione logicamente fallace. Non è la musica preistorica (immergetevi, a tal proposito, nella ricerca dell'ottimo "Art of Primitive Sound" uscito quasi due decadi fa per la stessa Hic Sunt Leones) a venire a noi in maniera diretta fra le tracce degli Enten Hitti, ma siamo noi a finirci in maniera indiretta attraverso la rielaborazione del duo Pandiscia - Ape. Non è dal particolare che arriviamo al generale, ma è grazie alla combinazione dei particolari che approdiamo all'immensamente grande (la storia) e all'immensamente piccolo (due uomini nudi che battono due pietre tra loro nella notte dei tempi).
Enten Hitti è, da oramai due decadi, il crocevia di innesti e sperimentazioni atte a ricreare e non rincorrere l'astrattezza sonora. Sotto questa egida sono passati e continuano a transitare riferimenti all'arcaico, all'elettronica, installazioni sonore, poesia e teatro. Il tutto volto alla decostruzione come metodo di analisi, allo spoglio dell'arte al fine di renderla oggetto puro e immutabile: al regredire per evolvere.
"La Solitudine del Sole" è stato registrato in tre giorni e tre notti in un posto oscuro vicino Bergamo, dove una ricerca minimalista quasi ossessiva si è sposata alla perfezione con l'ambiente naturale tutto attorno ai musicisti.
Se un difetto esiste, è quello di poter creare confusione negli ascoltatori meno avvezzi alle crude atmosfere arcaiche. Ma il problema si risolve apprezzando l'interezza del composto, la prodigiosa aggregazione di suoni (il termine "musica" è fin troppo fuori luogo col suo strascico di memorie post-moderne) che non chiede che di essere ascoltata.
La comprensione è un passo successivo assolutamente non obbligatorio. Da qualche parte devo aver letto che "La Solitudine del Sole" è per anime solitarie. Vero. L'esperienza del ritorno va letta tra le sfumature silenziose che la presenza di un alter, seppur muto, condanna il pensiero a un confronto immaginario e quindi all'omologazione. Poesie primitive dal respiro senza tempo.
21/12/2011