A dispetto del luogo comune per cui la soglia del terzo album sarebbe la più ardua da oltrepassare, gli irriverenti profanatori del folk revival, meglio conosciuti come Trembling Bells, stravolgono ancora una volta le regole del gioco, realizzando il loro miglior lavoro proprio in coincidenzs del loro third difficult album.
Non cedono spazio a raffinate elaborazioni stilistiche, né tentano mediazioni tra l’immane cultura della tradizione folk e l’apparente imperfezione delle soluzioni strumentali. Perennemente in bilico tra dissonanze e stonature, il suono quasi live degli scozzesi procede senza titubanze.
Più funambolico e imprevedibile nel suo ibrido di stili, “The Constant Pageant” celebra l’innesto definitivo di una attitudine psichedelica che scivola verso la schizofrenia.
Le frequentazioni sonore di Alex Neilson sono evocate tutte insieme: l’eclettismo del geniale Richard Youngs, il lirismo di Will Oldham, l’interesse per l’improvvisazione free-jazz e per la drone music sono fusi in questo ennesimo tributo alla musica folk che il musicista sgroviglia con originale nonchalance.
È quantomeno strano che il progetto più mainstream del musicista sia anche quello più ricco e interessante. I Trembling Bells sfidano il possibile ibrido generato dallo scontro stilistico tra un tratto psichedelico sconnesso e incostante e ritmi e fiati che conducono le fila di questo imbarazzante new-folk che rievoca gli azzardi della geniale Incredible String Band piuttosto che il tocco pastorale dei Midlake o la dolcezza dei primi Steeleye Span.
In verità non c’è nessun paragone possibile per i Trembling Bells e “The Constant Pageant” consolida la loro presenza come una delle più originali del terzo millennio.
È una meraviglia che scorre senza una sola pausa, con la voce di Lavinia Blackwall che esibisce una serie di toni e inflessioni innumerevoli (rari per un album folk), mentre i musicisti inseguono il loro limite artistico sfondando i confini del lecito e dell’armonico.
Resta il gap che non favorisce la musica folk nel panorama odierno; se non accompagnata da una sapiente gestione d’immagine, ogni proposta sembra non possedere il giusto appeal verso un pubblico non facile agli entusiasmi.
È dunque arduo giustificare il piacere e l’estasi che contagia l'ascolto delle prime note di “Just As The Rainbow”, una robusta ballad che incrocia lo scripting di Richard Thompson e la magia dei Mogwai, ma che non sfigurerebbe in un album postumo dei Velvet Underground.
Non sembri arduo il paragone con la mitica band di New York; valga a conferma "All My Favourite Mistakes", un garage-rock dal tono frenetico e impetuoso, un energico insieme di ritmo e chitarre distorte che mentre sembra incrociare il punk, scivola verso il r&b della Stax.
Nonostante il timbro da soprano, resta sicuramente la voce di Lavinia Blackwall l'elemento più folk della musica del gruppo, protagonista indiscussa delle due ballad "Torn Between Loves" e "Colour Of Night", entrambe ricche di suggestione e seduzione, mentre il tono quasi glaciale della voce consente all'irruento chitarrista (Mike Hasting) di citare Jimi Hendrix e Steve Howe con insana follia.
Uno dei classici delle loro esibizioni live, "Goathland", trova la giusta collocazione all'interno di "The Constant Pageant”: il tono solenne delle trombe introduce Robin Hood e il suo mito in un flusso psichedelico e gothic sorretto da chitarre sferzanti e fiati imponenti, la poesia resta dietro l'angolo e sorride sorniona.
Un'estetica differente dà contorno a una musica ricca di spessore; malinconici, a volte quasi fuori tempo e abilmente imprevedibili, i Trembling Bells dominano un album energico e creativo, il pathos che domina "New Year’s Eve’sThe Loneliest Night Of The Year" (brano già pubblicato per le feste di Natale in una versione con Bonnie Prince Billy) cresce insieme alla voce di Lavinia, che sottolinea ogni frase con intensità e poesia, attimi di puro piacere sonoro che non lasciano indifferenti.
È l'eclettismo dei quattro musicisti il quid che governa la loro musica: "Cold Heart Of Mine" si intinge di country e boogie con sonorità d'armonica sferzanti e con un imprevisto omaggio nel testo agli amanti della vecchia città di Verona, mentre "Otley Rock Oracle" forza i confini del folk intingendoli in sonorità heavy e psichedeliche, fiati stile "Atom Heart Mother" o Soft Machine e chitarre sferzanti che si addolciscono su organi tremolanti e improvvisi break di punk minimalista in poco più di cinque minuti di sbando sonoro. Un'apoteosi.
"The Constant Pageant” è il frutto di un ambizioso progetto nel quale lingue arcaiche e madrigali si fondono con la modernità della musica popolare, il folk e la musica psichedelica lottano con rock e jazz con l'ardire apparentemente inesperto di quattro impavidi musicisti; come novelli Robin Hood, i Trembling Bells hanno derubato i ricchi e nobili signori del new-folk per restituire al popolo la loro arte, con tutta la rabbia e la passione che la rende collettiva e popular.
È un vivace scossone alla sonnacchiosa rilettura di altre band contemporanee, qui c'è un feedback che sgrana l'immagine classica della musica folk-rock e commuove e seduce con una fisicità che nessun gruppo odierno possiede. La rivoluzione comincia con questo corteo (pageant, appunto), che spetta a noi rendere costante (constant), aprendo le porte più intime della nostra percezione fisica e cerebrale.
21/05/2011