A poco meno di tre anni di distanza da "Good Morning Jokers" e dopo aver sedotto buona parte della critica specializzata con il loro folk-pop da camera (da letto, con le tendine tirate), torna la coppia più bella del mondo (indie): Mi And L'Au. La bella favola di Mira Romantchuck e Laurent Leclere - la modella e il musicista che si ritirano in una casetta innevata nei boschi della Finlandia a comporre inni e odi al loro piccolo mondo sperduto e amoroso - ha conservato nel tempo un fascino innegabile e arriva al terzo capitolo presagendo poche ma percepibili variazioni rispetto al canovaccio originale. Quella più evidente è che il picking e le trame acustiche dei lavori precedenti sono perlopiù soppiantate da una delicata e minimale texture elettronica che dà luogo a un'atmosfera più ipnotica e rarefatta ma incide limitatamente sullo stile e sulla scrittura che poggia ancora in gran parte sulle melodie torpide e sussurrate, sui duetti discreti, su un'armonia fragile e crepuscolare, un po' Vogue e un po' Nouvelle Vague.
Non tragga dunque in inganno l'enfasi un po' lugubre e impostata dell'opener "Territory Is An Animal" con i suoi archi, i suoi rulli di tamburi e i melismi glaciali, poiché la coppia ci mette pochi minuti a riprendere la strada vecchia (con scarpette nuove) nella title track: sorta d'idillio gainsbourghiano su base synth punteggiata e un po' vintage. Così se le belle "360" e "Limouzine" titillano con la loro dolcezza decadente e mitteleuropea sfumata da archi e tastiere, il sonetto per piano e voce di "Magic 80" e il cantato in madrelingua di Mira in "Valdren" ciondolano in un'aura languida e fiabesca.
Altrove "L'Au" Leclere perfeziona i suoi ricami electro giocando per sottrazione sulle lievissime dissonanze e i tocchi glitch di "Porcupine", i quasi scratch soffusi nel sottofondo di "Silk", fino alle quinte gelidi e ai breakbeat della conclusiva "Warrior".
In definitiva, Mi And L'Au confermano l'incanto sottile e particolare della loro proposta musicale che rimane sostanzialmente fedele a se stessa al di là degli spunti elettronici che scongiurano solo in parte il rischio insito nella ripetizione. Parafrasando il titolo: in nessun caso la bellezza può essere considerata un crimine, tutt'altro, ma se ci si sofferma troppo a lungo davanti allo specchio a rimirarla si può cadere nel peccato (veniale) del narcisismo. Disco comunque piacevole nel complesso.
20/01/2012