Comodamente sdraiato sul velluto di una purpurea poltrona adagiata nella fessura del mondo, come in un voyeurismo propedeutico all'attacco, nella fissazione dei più decadenti, sensuali, vischiosi particolari, sfuggenti alla mortificazione dell'universale. Il finto candore di pantaloni bianchi, una mano affusolata che gioca con soffice ciocca di capelli, l'eco di una risata limpida e incosciente dei suoi effetti.
Inciampare con finta maldestrezza, nei lazzi del gioco. Ignorare elegantemente il contesto, brillare di insolente, adolescente bellezza. Sedurre.
"Melody Nelson a des cheveux rouges/ Et c'est leur couleur naturelle"
1971. Decadànce.
Direttamente dai sedili di una Rolls Royce, imbrigliata dalla casualità di un incontro che solletica la mente maschile indolentemente volta all'osservazione di porzioni di corpo femminile acerbo, rilucente grazia, pulsante fresca energia, regale innocenza. Vertigine. Così forte vertigine, da ispirare un capolavoro.
Il flusso di coscienza rende il basso un morboso ammiccamento, imbrigliando nelle maglie di un tessuto sonoro impalpabile, disteso con abile perizia dall'arco smaliziato, annunciando l'imminente catastrofe emozionale, anello di congiunzione tra Eros e Thanatos, drogato della sua stessa, perforante sensazione di pericolo ("Melody"). E se la conditio sine qua non di una pulsione così opprimente è "Un petit animal... Une adorable garçonne/ Et si délicieuse enfant", ogni vano tentativo di moralistico sdegno, di fronte a tale morbosità, svanisce al sublime scolpito nell'aria dalla decadenza di "Histoire de Melody Nelson". Delicate rose bianche, screziate solo della propria penombra interiore, al cospetto della Ninfa Incosciente, galantemente guidata alla soavità del valzer ("Valse de Melody").
La lucidità che emerge dopo lo stordimento dei sensi piange la sua stessa ossessione, soleggiata, nel suo ammettere l'ineluttabilità del Caso, dal fiato che ne testimonia il residuo arrancare alla vita ("Ah Melody"). L'Hotel nel quale consumare la fisicità della mania non può che essere particulier, rovina liberty, con i dipinti di Afrodite e Salomè sulle pareti della scala che conduce ai peccati della stanza 44, la stanza di Cleopatra, con le colonne del letto in stile rococò e un grande specchio in cui riflettere il rimescolamento degli umori ("L'Hotel Particulier").
La dilatazione spazio-temporale ammorba tutto il disco. E se ne resta quasi intossicati sulla distorsione della chitarra di "En Melody", provocata dal ridere brillo di Jane Birkin. E quel che resta non è che il ricordo di un dolce disastro, svanito come ineffabile evanescenza, lasciando alla deriva del ricordo sempre troppo incandescente per sperare di svanire, un flashback psico-fisico, bulimico di sensualità, che tocca il climax epico nell'estasi del coro finale, direttamente dall'Olimpo dei Sensi "Cargo Culte".
Opera unica e irripetibile, "Histoire de Melody Nelson" dischiude il segreto più umanamente vero della sensualità, isolandoci dall'uniforme moralistica che ogni religioso decalogo richiede, e lasciandoci fluttuare sulle nostre stesse, innocenti perversioni, come la più ammaliante e decadente delle fughe.
07/05/2007