Fare techno senza scendere a compromessi e risultare contemporaneamente graditi alle masse è affare difficile. Lo sa bene Paul Kalkbrenner, che ha visto soccombere alla macchina dell'appeal persino il più coraggioso fratello Fritz, oggi noto principalmente per il legame di parentela che per una manciata di ottimi lavori (ultimo fra tutti "Sick Travelin'" pochi mesi fa).
Di suo, Paul non è certo l'ultimo arrivato, visto l'importante ruolo di esportatore del sempreverde movimento techno berlinese che ricopre da almeno una decade. Eppure, anche nelle sue opere più riuscite (le recenti "Berlin Calling" e "Icke Wieder", ma pure il duo "Zeit"-"Self"), il produttore tedesco è sempre sembrato indeciso fra l'ozio della superstar da top club e l'ambizione di una svolta più personale e "sotterranea".
Nemmeno la fondazione, nel 2009, della sua etichetta personale e il conseguente passaggio all'autoproduzione è riuscito a fugare tale dubbio: meglio diventare uno status symbol dell'elettronica clubbing più genuina come Dj Hell o lanciarsi nel calderone della techno più underground (Lucy, sempre restando in quel di Berlino)? Chiunque si fosse illuso - e Paul stesso è probabilmente il capofila - che questo "Guten Tag" potesse finalmente indicare la strada, è costretto a desistere e accontentarsi dell'ennesima prova di maestria tecnica.
Già, perché questo è Kalkbrenner e il nuovo album ne è forse il più emblematico manifesto: techno accessibile a chiunque vi si voglia buttare, che non graffia e non morde, ma strega e coinvolge a suon di loop nostalgici e melodia. C'è Berlino nei suoni e Detroit nelle strutture, la tradizione analogica nel sangue e l'intellighenzia minimal nella testa. Si prenda per esempio il primo colosso ritmico, quel "Der Stabsvörnern" che è a tutti gli effetti una perla in rotazione, una mina vagante che non vuole esplodere e guida dritto su un dancefloor di laser dove è impossibile star fermi.
Paul ci sa fare, ormai lo sappiamo, e questa volta a voler ben vedere prova pure a osare: parte "Spitz-Auge" e riprende strutture irresistibili, buttandoci dentro un po' di oscurità e martellando come mai aveva fatto prima. Per non parlare di "Vörnern-Anwärter", una massa nera in crescendo che si immerge in quella pece etereo-oscura che pervade "Trümmerung", facendola rassomigliare da vicino all'ultimo, splendido Andy Stott.
Fosse tutto qui, potremmo addirittura parlare di una piccola svolta, di un primo passo verso una nuova era, concretizzato nella breve "Speiseberndchen", quadrata e cattiva come il miglior Surgeon. Ma poi ci sono i ricordi, quella melodia dalla quale il Nostro non è mai riuscito a star lontano. Ci sono i rivoli tech-house (quella decostruita che tanto piace a Ital) di "Das Gezabel", ripresa in un finale "di lusso" di nome e di fatto, l'irresistibile scoppiettare vintage di "Der Buhold", quegli strumentali di pura ambiance che spezzano meravigliosamente il ritmo, più due immersioni nella dub-techno ("Der-Ast Spink" e "Des Bieres Meuse") messe alla perfezione come riposo prima del gran finale.
I brani sono ben diciassette, ma la noia non trova nemmeno uno spiraglio.
Nonostante tutti gli elogi del caso, "Guten Tag" non è un capolavoro, ma uno dei frutti (meglio riusciti, su questo non v'è dubbio) di un artigiano che gioca con le innovazioni di altri. Avrebbe potuto (e voluto) osare di più, o gettarsi dritto dritto nel commerciale: non ha fatto niente di tutto ciò e forse è meglio così, con buona pace del suo (e nostro) eterno dubbio. Non lo ricorderemo negli annali della techno, ma alla fine chi certa techno la ama lo ascolterà a ripetizione per molto tempo. Perché in fin dei conti è su questo che Paul ha basato il suo successo: la capacità di conquistare. Un'arte dove, senza falsa modestia, sa di avere pochi eguali.
Ennesima vittoria.
18/12/2012