È duro essere un monumento. Ma ancor più duro è essere un gruppo di culto, converrete. Lo sanno bene i Wedding Present che, su quella cassettina denominata C86, c'erano per davvero quando uscì (lato B, ultima traccia). Da allora, in termini di stile e ispirazione, ben poco è cambiato a dire il vero. I Wedding Present volevano essere gli Smiths dopo che anche gli Smiths erano morti assieme alla regina. Ci riuscirono. Rumorosi, dolci e confusi come nessun altro. Tuttavia, a riconsiderare oggi retrospettivamente la configurazione complessiva di una carriera ormai trentennale, i Wedding Present paiono somigliare forse di più a un'altra band-simbolo di Manchester, ovvero i Fall. Un destino simile accomuna infatti i due gruppi: tanti dischi, tutti meravigliosamente simili, spesso quasi identici, disseminati nel tempo un po' per caso un po' per necessità. Amatissimi quasi più in America che in Inghilterra (non c'è gruppo di etichette come Slumberland o Captured Tracks che non li abbia almeno una volta citati, anche involontariamente) i Wedding Present sono oggi più che mai il gruppo di un uomo, David Gedge, che ha fatto della band la cassa di risonanza e il quadernetto in sedicesimo per le confessioni di un ego inguaribilmente romantico.
"Valentina" non fa eccezione al postulato. David Gedge ha sempre riversato nelle sue canzoni l'autobiografia di una generazione di sognatori con niente da perdere in tasca e una folta frangetta calata sugli occhi (oggi screziata da qualche capello argentato). I termini dell'accordo sono sempre stati chiari per lui: uscire dalla propria cameretta solo a patto di trasformare quella cameretta nella propria musica. Un pezzo furioso come "Dear Caught In Headlights" pare ripetere proprio questo, con le sue storte progressioni chitarristiche e il canto logorroico che straripa spumeggiante di parole oltre metrica e accenti.
I Wedding Present una cosa sanno fare e quella fanno e rifanno, inesorabilmente, quasi fosse una liturgia definita e in sé coerentissima, modulando variazioni minime al loro dettato, ritoccando al massimo qualche dettaglio strumentale, mai però oltre lo stretto necessario. Un indie-rock sporco e scarmigliato ma non troppo, che impone la sua cifra forte e immodificabile, come si evince da pezzi dall'andamento "classico" del calibro di "You're Dead", "The Girl From DDR" (tra i vertici) o "Meet Cute". Sino al finale in crescendo di "524 Fidelio", "End Credits" e "Mystery Date" che avanzano con passo caracollante, s'impuntano, cambiano idea, tornano indietro e poi fanno un balzo nel vuoto.
Con questo suo nono album (al netto di live, radio sessions ed Ep vari) la band di Leeds dona così ai propri fedelissimi un nuovo pretesto per aprire la porta di casa e fiondarsi al prossimo concerto. Come si fa a non ringraziarla per una cosa del genere? Una grande lezione di umiltà e perseveranza, anche perché non è assolutamente detto che invecchiando si debba rinunciare a tutto quel che si è stati.
21/03/2012