Sulla scorta di un suono sostanzialmente più misurato, non lontano dalla definizione di un electro-pop onirico e dalle coloriture ambientali, i Braids (ormai un terzetto, dopo l’abbandono della cantante e tastierista Katie Lee) approntano, dunque, trame volatili in docile ascensione (“Fruend”, la lunga “Together”), sostenendo visioni ipnotiche pur nella loro filigrana dinamica (“December”, “Juniper”), comunque sempre indirizzata verso strutture ciondolanti che inglobano sparse rarefazioni emozionali (“Hossak”, “December”).
La fragilità che si annidava dietro le composizioni di un tempo è adesso manifesta, nuda nel suo imporsi sussurrato – si ascolti, per dire, il bozzetto indifeso di “Girl” – o nel suo smerigliarsi continuo in un gioco di echi e di piccole stratificazioni celestiali (penso, ad esempio, ad “Ebben”, il cui fraseggiare vocale evoca il Peter Gabriel di “Mercy Street”).
Dall’Ep rilasciato qualche mese fa, vengono ripescati, invece, il dream-pop singhiozzante di “Amends” e quello più frizzantino di “In Kind”, che resta ancora il momento migliore di questo nuovo corso.
(05/09/2013)