E in quella cultura come in poche altre c’è la capacità di amplificare vicende ordinarie, sensazioni quotidiane, in un minimalismo tremendamente vivido, una realtà spesso quasi irriconoscibile. Gli autori in questo caso sono i Frontier Ruckus, band del Michigan che ha finora attratto un riconoscimento tutto sommato minore, se si esclude un tweet di Ryan Adams e un brano per Legend Of Zelda.
I Frontier Ruckus sono autori di quello che viene ora chiamato “folk-rock”, la versione post Duemila dell’alt-country anni 90, ora che il banjo non è più un elemento di cui vergognarsi; soprattutto, di una musica dal carattere fortemente “verbale”, in cui il direttore d’orchestra è decisamente il frontman e cantautore Matthew Milia.
Basterebbero questi pochi ingredienti a richiamare con forza mostri sacri come Decemberists e, soprattutto, Okkervil River. Certo, non gli Okkervil River che sono venuti da “The Stage Names”, ormai star, nel bene e nel male, del rock indipendente del nuovo millennio – quelli più insicuri e commossi di “Down The River Of Golden Dreams”.
I Frontier Ruckus sicuramente rivendicano un’attitudine compositiva, più che espressiva, più tradizionalista della band di Sheff e Meiburg (da qui l’appaiamento con Ryan Adams e gli Avett Brothers, che hanno accompagnato in tour) e Milia non mostra l’istrionismo di Sheff nelle sue interpretazioni. Ma, aldilà dei paragoni più stretti (per i quali si possono citare l’uso dei fiati e, appunto, il motore “verbale” dei pezzi), Milia è a suo modo un osservatore intenso e un finissimo cantautore – bastino l’originalità e il dinamismo delle sue canzoni.
Nonostante la produzione un po’ dimessa del disco, un doppio di venti canzoni senza il minimo cedimento (e, forse, senza brani di particolare rilievo), “Eternity Of Dimming” spicca come opera compatta e coerente, e vitale e scorrevole allo stesso tempo. Misurata ed elegante (la sinfonia di piano e archi di “Nightmares Of Space”), quanto piena di trasporto e persino di una sgraziata vitalità (l’interpretazione enfatica di “Eyelashes”, il power-country di “Black Holes”).
I Frontier Ruckus arrivano insomma in soccorso di un mini-genere che sembrava ormai in disuso, in una scena polarizzata da cantautori solitari ed ensemble cameristici – soprattutto, arrivano con un disco veramente ottimo, anzi che potrebbe diventare veramente il disco del cuore della generazione che ha mancato i primi Okkervil River.
(13/02/2013)