Anche Matthew Houck, l’uomo dietro al moniker Phosphorescent, sapeva molto bene non solo delle aspettative ma anche dell’enorme credito dato alla sua produzione successiva al suo precedente “Here’s To Taking It Easy”, tanto presente nelle classifiche di fine 2010 di qualsiasi rivista o webzine che si rispetti da proiettarlo a un passo dalla popolarità di Wilco e loro pari.
Nessun motivo, così, per variare più di tanto la sua proposta, il suo “soft-country” minimalista ma non tradizionalista, che in questo “Muchacho” si fa ancora più elegiaco, sperimentando senza esagerare con accompagnamenti sintetici (si vedano gli archi e la sezione ritmica del singolo di lancio, “Song For Zula”, dall’atmosfera Bartlett-iana) e spegnendo i toni più solari e festosi dello scorso disco.
Rimane così la trama volatile ma spessa degli arrangiamenti Band-istici di quest’ultimo Phosphorescent, sicuramente un punto vincente presso chi ama i dischi “di una volta, fatti come si deve”. La fragilità melodica dei brani di Houck sembra fatta apposta per lasciare spazio, appunto, alla strumentazione, in questa placida, innocua riproposizione di CSN&Y (“A Charm/A Blade”), le cui armonizzazioni suonano qui piatte e fin troppo uniformi, al di là dell’introduzione coral-elettronica del disco.
Si scuote dal torpore, questo “Muchacho”, soltanto nell’epica western di “The Quotidian Beasts”, jam in cui l’interpretazione da narratore hobo un po’ toccato di Houck si lascia trasportare, animando un grande sogno di libertà.
Ma è in fondo un gioco che non poteva che mostrare la corda alla prima occasione, e “Muchacho”, facendo niente più di quello che le aspettative richiedevano, fa proprio questo.
06/03/2013