Dopo il più intimo “The Year Of Hibernation”, “Wondrous Bughouse” è senz’altro una dimostrazione di forza da parte del presupposto “genietto”: un suono stratificato, fatto di escrescenze fluttuanti e luci organiche, di peduncoli e appena percettibili esseri ciliati che si agitano in sottofondo.
Un microcosmo di effetti sintetici e distorsioni puntiformi funzionali alla weirdness dalla quale Powers non si può esentare, pena l’esclusione dal gotha dei giovani artisti statunitensi. Eppure l’equivoco più banale è quello di farla coincidere con l’estro, un difetto di giudizio giustificabile con l’età, da parte sua, ma segno di una certa “immaturità” da parte di quella ingente frazione della critica musicale che lo incensa.
Si rivedono le progressioni distorte e Antlers-iane dell’esordio in “Dropla”; in “Raspberry Cane” i Procol Harum vanno a passeggio in un mondo di caramelle; la cantilena alla “Sgt. Pepper” non si fa mancare in “Pelican Man”; inquietanti carillon da Trouble In Mind fomentano informi favole metropolitane (“Daisyphobia”).
Insomma una psichedelia autistica, un trip del nuovo millennio che inizia e finisce nel vuoto cosmico.
(15/03/2013)