Pur ruotando ancora intorno alle interpretazioni stralunate e all’inglese “colorito” di Paolo Marini, “Open Book At Page Eleven” mostra la band alternarsi tra una versione chitarristica e “rock” del dream-pop cantautorale degli Abiku (soprattutto nell’iniziale “Far From Cartoons”, con tanto di intro Badalamenti-ana) e una riproposizione decisamente meno acerba del loro revival nineties, in cui si nota il lavoro per dare respiro ai brani e il giusto spazio a ogni strumento.
Da annotare soprattutto l’accresciuta consapevolezza di sé della band, come mostrano la progressione di “Lo Fi Soldier”, che si spinge a lambire i Sigur Ros, e il mantra psichedelico di “This Place Doesn’t Build Opinions”, numero alla Flaming Lips.
La compattezza sonora, ma anche musicale in senso più generale, aiuta anche a uniformare (anche se non si sa mai se verso l’alto, o verso il basso) canzoni dove la scrittura spicca (“Now I Can See No More”, “Me And Tina Wanna Dance Tonight”) e altre dove questa va in secondo piano rispetto allo stile del pezzo (il saluto finale di “Bluebirds Sing In The Wind”, la vagamente irrisolta “Is Running Fast This Car?”).
Raro e azzeccato anche il tono generale da commedia indipendente (una copertina alternativa potrebbe essere il faccione di Valerio Mastandrea, a metà tra il sardonico e l’apatico) – che i Delawater siano i nuovi Yuppie Flu?
(02/01/2014)