Angelo Badalamenti

Angelo Badalamenti

Un angelo per Lynch

Prodigio d'eclettismo che spazia dalla grande direzione d'orchestra, al piccolo ensemble jazz, fino al solipsismo della tastiera, Badalamenti ha contribuito a forgiare l'immaginario di sogno-incubo del cineasta di Missoula, grazie anche a solide basi artistiche che associano magicamente la più soffusa delle melodie alla più feroce sperimentazione. Qui un excursus della carriera

di Michele Saran

Main Theme

È più che assodato, scontato persino, ma va ribadito. Le fondamenta di Angelo Badalamenti sono quelle del musicista tout-court, prima - e di più - del compositore di colonne sonore, e di grande veicolante aurale dell'estetica filmica di David Lynch. Solo così si spiega la pregnanza d'autore delle sue musiche, lo spessore delle sue melodie e il fascino, semplicissimo, quasi elementare, ma per chiunque impossibile da replicare o anche solo imitare, di timbri e atmosfere.
Il suo è un eclettismo composito che si riallaccia a quelli, mitici, di Stan Kenton e Martin Denny, e dei loro si fa ideale erede. Così, se il punto di vista è quello del metodo, in Badalamenti coesistono il pianista classico, l'arrangiatore, il direttore d'orchestra, e il leader di ensemble jazz. Dal punto di vista dell'estetica, al cantore del sintetizzatore si alternano magicamente il montatore di basi ritmiche elettroniche, e lo sperimentatore feroce e inquietante dell'effetto sonoro anti-musicale. E per ognuna di queste competenze se ne ricavano altrettante personalità: il dipintore rapito da una melanconia senza fine, il ricercatore col pallino per i corali religiosi dell'epoca barocca, il seduttore con la passione del retrò, il visionario che sfuma il bordo tra sogno, incubo, e realtà. E altre ancora.


Preistoria

Angelo Badalamenti (ovvie origini siciliane) nasce a Brooklyn nel 1937. Precocissimo orecchio musicale d'ascendenza classica, nonché strimpellatore di sonate per pianoforte, ha una brillante carriera di studente che lo conduce fino al master in composizione alla Manhattan School Of Music. Gli anni della formazione si dividono tra insegnamento musicale e intrattenimento pianistico nei teatri periferici della città natia, mentre le sue prime attività creative comprendono arrangiamenti e scrittura di canzoni per cantanti pop. Proprio in quest'ambito avviene l'incontro con Jean-Jacques Perrey, ingegnere del suono, sperimentatore e metà francese del duo Perrey And Kingsley, il più famoso act della scena proto-electro-pop di metà anni 60. Perrey introduce Badalamenti alle tastiere elettroniche, e il nostro se ne innamora. Tra i due nasce presto una piccola collaborazione (con Badalamenti che si ribattezza momentaneamente Andy Badele) che li porta a scrivere a quattro mani "Visa To The Stars" - uno dei pezzi forti del leggendario "The In Sound From Way Out" (1966) - e, più avanti, il vaudeville "Danielle Of Amsterdam". L'anno dopo un'altra collaborazione, stavolta con John Clifford, lo porta alla scrittura di "I Hold No Grudge" (1967) per Nina Simone.
Badalamenti, seppur ancora nelle retrovie, ha già una parte di strada spianata. Il suo primo incarico come compositore di colonne musicali per film è in piena spumeggiante blaxploitation, con Gordon's War (1973) di Ossie Davis, a nome Badder Than Evil, in coppia con un altro mentore, Al Elias. Già l'anno dopo è la volta di Law And Disorder (1974), spensierata, e ancora nella vena del primigenio stile di Perrey. Sono score di buon valore, perfettamente geometriche alle immagini e, soprattutto, all'umore dell'epoca. Ma una volta spenta cotanta tendenza modaiola, anche l'autore ne rimane adombrato, catalogato come uno dei tanti. L'anonimato cui è costretto per gli anni seguenti gli permette, comunque, di continuare le ricerche sul suono.


Angelo e David

La carriera di Badalamenti comincia seriamente con David Keith Lynch, uno dei massimi registi statunitensi del post-iperrealismo dei tardi 70. I due s'influenzeranno a vicenda, si aiuteranno l'un l'altro ad ampliare i rispettivi spettri artistici, fino a plasmare, pur in maniera non sempre omogenea, un'alchimia iconica, seconda per importanza solo a quelle creatisi tra Leone e Morricone, tra Fellini e Rota. Da parte sua, a contatto con le atmosfere di sogno perverso di Lynch, Badalamenti esploderà letteralmente il suo talento, darà luce a quella calligrafia unica che sublima noir e svago, cupezza e dolcezza, nostalgia e decadenza. Lynch è peraltro, consapevolmente o meno, uno dei primi non-musicisti preconizzati da Brian Eno. Nelle sue prime produzioni underground, specialmente nel primo lungometraggio Eraserhead (1977), il cineasta fa quasi tutto da solo - affiancato dalla consulenza del valente Alan Splet - nel creare una via malata all'ingegneristica musicale, disintegrandola in deliri industriali in sordina, effetti elettroacustici e, in generale, scenografie acustiche realmente malsane. In questo l'apporto di Badalamenti sarà non soltanto l'espansione colta e musicale di questa vocazione, ma anche e soprattutto un vero e proprio secondo canale espressivo.

La più gloriosa, perentoria dimostrazione di questo apporto arriva nel 1985. Lynch è nella stanza d'incisione con Isabella Rossellini, sua nuova musa: in una sequenza del film a venire interpreterà una chanteuse alle prese con la "Blue Velvet" portata al successo da Bobby Vinton nel 1963. L'attrice, completa novizia di canto, abbisogna di un trainer che alla svelta le spiani la strada per la performance. Viene scelto proprio Badalamenti. Dopo lunghe sessioni, la canzone e il relativo arrangiamento (un blues da piano bar decadente) sono pronti da inserire nel montaggio della colonna musicale. Lynch rimane impressionato dalla professionalità e dall'eleganza del maestro, dalla qualità "vellutata" della sua lettura, e ne percepisce un'affinità; decide così di affidargli l'intera score del film, appunto Blue Velvet (1986).
Badalamenti si affida nientemeno che alla Quindicesima di Sostakovic, traendo spunti dal secondo e quarto movimento. Un altro riferimento, sebbene archetipico e quindi già più indiretto, è di certo il Miles Davis di "Ascenseur Pour L'Echafaud" (1958). Ciò che ne risulta è una delle colonne sonore più trasversali e disturbanti della storia della musica per film, una sorta di elogio orchestrale al tardo-romanticismo, ma del tutto obliquo e post-moderno. Dai legato lamentosi del "Main Title", una perfetta introduzione ancora tradizionale, si passa all'amplissimo adagio di "Night Streets/Sandy And Jeffrey", ricolmo delle dissonanze dei fiati, di accordi cavernosi e demoniaci, sospesi nel nulla. In "Frank", che si apre con un inciso grave dei soli archi, gli ostinato vertiginosi culminano nelle urla degli ottoni, in un elogio della tensione più cupa, e così fa "Jeffrey's Dark Side", altra impennata terrificante di dinamica orchestrale. "Frank Returns" è un pezzo noir, nella miglior tradizione di Bernard Herrmann, che si trasforma magicamente in pezzo di musica classica: feroci accordi ululati, staccato violenti, tremolo maligni. La tecnica si fa mista per il cupo allegretto di "Lumberton Usa", letteralmente inghiottito da una sordida voragine di effetti sonori. In questo marasma di perdizione, l'aria sacrale di "Mysteries Of Love" arriva come una benedizione angelica.
L'intera partitura non limita ad accompagnare mirabilmente i grotteschi contrasti di umore e i bruschi cambi d'atmosfera del film di Lynch, ma ne costituisce anche un ulteriore strato di significato, o anzi un connettore tra le immagini filmiche e la reazione dello spettatore.

Passato quest'incubo sinfonico, la collaborazione tra il regista e il compositore diviene simbiotica: i due scrivono e compongono fianco a fianco, Lynch spiegando la sequenza o il personaggio da musicare, Badalamenti rispondendo direttamente al piano. Così, le musiche per il serial televisivo Twin Peaks (1989) ripiegano più amichevolmente sulla melodia soffusa; le costruzioni dei temi trasformano le fitte espressioniste di Blue Velvet in più semplici ritornelli a enfasi crescente, il suono si fa persino new age. E’ però un lirismo tutto particolare, fondato sui timbri vitrei delle tastiere elettroniche (il “Twin Peaks Theme”, generato da due tocchi della chitarra baritona, apoteosi di gaudiosa melanconia) che contribuiscono forse anche con maggior acutezza a installare l’universo del compositore.
La tristezza a ciclo continuo del “Laura Palmer’s Theme” e del “Love Theme” - sua variazione per flauto traverso - un moto perpetuo di note scure che s’impennano in una sarabanda leziosa, è un’innodia a presa immediata. La medesima soavità pervade anche il gruppuscolo degli shuffle, un fronte stilistico appena intravisto in Blue Velvet, ma qui portato ai massimi livelli di contagiosità: i passi sbarazzini di “Freshly Squeezed”, con xilofono, e “Audrey’s Dance” (basata anch'essa sul "Love Theme"), a base di fumi di clarino e sezione fiati in stile Broadway, le acrobazie blues del sax in “Dance Of The Dream Man”, trovano anche un’inquietante dilatazione in “Night Life”, oasi nera con i fiati sperduti costretti a squittire dissonanti, in una cadenza swing mortifera.
Il successo del progetto sarà subitaneo, mondiale, e persino intergenerazionale, e lo status di cult, sia del telefilm che delle musiche, diverrà autentica mitologia.

Costretto dai produttori a chiuderla anzitempo, Lynch si metterà subito al lavoro su un mastodontico progetto di trasposizione filmica, da articolare in una trilogia di tre pellicole. Vedrà la luce solo la prima, Twin Peaks: Fire Walk With Me (1992). Rispetto alla score della serie televisiva, questa è più opera matura di composizione che sublime geometria audiovisiva. La funerea sordina Miles Davis-iana del principale “Theme” (in parte debitrice dello standard “Summertime”), “Pine Float”, “Moving Through Time” (estrema variazione del “Laura Palmer’s Theme”) e “Don’t Do Anything”, sono divagazioni degne di un raffinato ensemble jazz, più che componenti di una colonna sonora. E con “Voice Of Love”, d’un incanto cristallino, Badalamenti cerca anche una personale rilettura kitsch di un corale di Bach.
Dall’altra, pezzi come “A Real Indication”, quasi alla Morphine, e la breve pillola d’avanguardia gangsta-rap “Black Dog Runs At Night”, accreditati alla Thought Gang (nient’altro che la coppia Badalamenti-Lynch sotto nome fittizio), oltre a “Pink Room”, ansiogeno lento blues di pugno del solo Lynch, aggiornano al rialzo gli standard della musica di consumo coeva. Questa stridente dicotomia, interessante anche se non in grado di bissare la magia magnetica del primo Twin Peaks, non riceverà gli onori del pubblico ma attesta definitivamente Badalamenti come genius loci del nuovo universo creato dalla saga.

Le registrazioni complete della Thought Gang vedranno la luce quasi trent'anni dopo su Thought Gang (2018). E' una sorpresa: la raccolta si spinge molto oltre “A Real Indication”, espandendo gli orizzonti sperimentali appena intravisti in “Black Dog Runs At Night”, e dedicandosi in toto a una forma irrazionale di composizione free-form, come esemplifica il preludio “Stalin Revisited”. La loro passione per la musica jazz delle big-band emerge repentinamente in jam tuonanti e vorticanti come “Logic And Common Sense” e “Woodcutters From Fiery Ships”, questa purtroppo rovinata da una recitazione distorta troppo tirata per le lunghe. “Jack Paints It Red” invece spinge il trattamento della voce a incubo apocalittico, spappolandone con l'elettronica i connotati fino a farne un puro suono sgradevole, sgraziato, dissonante, un numero di post-avanguardia che ben figurerebbe in Twin Infinitives. “A Meaningless Conversation” è un altro brutale spoken-word, claudicante e dadaista sopra una brutale marcia di ottoni e oscure deformità. C'è poi il fronte del montaggio sonoro, introdotto da uno shuffle riprocessato e sovrastato da inquietanti rimbombi industriali, perforato da uno sfumato twang di chitarra in dissonanza, “Multi-Tempo Wind Boogie”. I quasi diciassette minuti di “Frank 2000” offrono un esercizio di asprezze ambientali-industriali, equamente spartite tra gli effetti sonori di Lynch e i sintetizzatori di Badalamenti, e poi un'improvvisazione di jazz-rock che segue gli stessi dettami d'instabilità dinamica e dissonanza estrema, finanche repellenza per l'ascoltatore. Li seguono coerentemente i nove minuti di “Summer Night Noise”, un corpo sonoro ancor più compatto (qui cioè slabbrato) fatto di tocchi di piatti di batteria e riverberi cavernosi sinistri, che esplode in terrificanti valanghe. Svincolati dalla logica della colonna sonora e adentratisi nella composizione tout-court, il duo trova il suo definitivo e più autentico fulgore free-jazz e avanguardistico.

Invece, l’impressionante popolarità suscitata dalle due score mieterà una quantità crescente di fan, anno dopo anno. Così, spezzoni mancanti dalle due colonne sonore affioreranno in pubblicazioni d’archivio, Twin Peaks - Season Two And More (2007) e soprattutto il mastodontico Twin Peaks Archive (2011-2012), rilasciato solo via web. Si viene a sapere che alcuni dei pezzi più aspri, contorti e difficili di Badalamenti stavano per scomparire con le pubblicazioni ufficiali. Ancora Bach è il modello per i nove minuti di “Dark Mood Woods/ The Red Room”, capolavoro di fibrillazione elettronica in sordina e tortura prolungata di chitarrismi swing. Una maestria new age d’altri tempi emerge nel tema dissonante di “Birds In Hell”, una maestria di jazzista “gestuale” affiora negli assoli di clarino di “One-Armed Man” e “Jean Renault's Theme” e una prodigiosa imitazione di Penderecki affiora nella prima parte di “The Culmination”. Gli otto minuti di “24 Hours” e i dodici minuti di “White Lodge Rumble” sono cupissime meditazioni che, peraltro, rivelano qualche trucco del mestiere del compositore (l’artificio della “slow speed orchestra”), mentre il ballo lento di “Half Heart” è forse la melodia più struggente dell’intera carriera, e - colpo gobbo - gli undici minuti di “Circumference Of A Circle” sono semplicemente il suo delirio più estremo al sintetizzatore. Ma nei film molti di questi brani sono spesso usati come spezzoni e mixati uno con l'altro.

Badalamenti ha anche trasformato alcuni motivi del periodo d’oro in altrettante canzoni pop, completate con poesiole sentimentali di pugno di Lynch, e affidate poi a un’ugola d’angelo, Julee Cruise. I due ne diventano produttori per ben due album, Floating Into The Night (1989), il più influente nel lanciare questa mutazione dilatata, ultra-eterea, persino gregoriana, del dream-pop femminile (“Into The Night”, “Floating”, “Falling”) e del girl-group vecchio stile (“The Nightingale”, “The World Spins”, “Rockin’ Back Inside My Heart”), e The Voice Of Love (1993), forte ancora della salmodia cosmica “Questions In A World Of Blue”.
Cruise si emanciperà poi dalla personalità di Badalamenti, trasformandosi in diavolessa e improvvisandosi cantautrice del tardo trip-hop, ma The Art Of Being A Girl (2002) ne mostra quasi solo limiti imbarazzanti. My Secret Life (2011) è una collaborazione con Dj Dmitry. Scompare nel 2022.

Per Wild At Heart (1990), il suo spin-off, l'anti-musical Industrial Symphony no. 1 (1990) e Lost Highway (1997), la collaborazione tra Lynch e Badalamenti non si attua in modo così stringente. Tra spezzoni sonori curati dallo stesso Lynch, musiche non originali o a cura di altri artisti (tra cui Barry Adamson), il compositore contribuisce solo con pezzi ancora in stile Twin Peaks (“Coot Cat Walk”, “Dark Spanish Symphony”, “Dark Lolita”, "Up In Flames"), ma anche con miniature di jam fusion (“Red Bats With Teeth”, “Dub Driving”) e nuove fantasmagorie ambientali (“Haunting And Heartbreaking”, “Fred’s World”, "Pinky's Bubble Egg"). Il cd di Lost Highway, peraltro, esclude un audace esperimento sul tremolo degli archi con la City Of Prague Orchestra in stile Penderecki, usato per una sequenza del film.

La simbiosi riprende per The Straight Story (1999). Nonostante la drastica deviazione di percorso del cineasta (è il suo film più positivo e lineare), la risposta musicale di Badalamenti vi aderisce senza la minima sbavatura. In questo caso è dunque accompagnamento acustico, rurale, delicato, una mimesi del bluegrass che disattiva quasi in toto le ambizioni soniche di un decennio prima. Nella semplicità di “Laurens Walking”, uno svolazzo continuo di fiddle su appena un paio di arpeggi di chitarra, o di “Country Waltz”, nello struggimento di “Sprinkler” e del canto d’arpa di “Rose’s Theme”, il lato sensibile del compositore si porta al livello intimo. Nuova melanconia affiora in “Final Miles” e “Crystal”, per ensemble d’archi, mentre l’elettronica ritorna in punta di piedi in “Nostalgia”, spandendosi ancora come un organo di chiesa.

Mulholland Drive (2001), ultima grande collaborazione tra i due, è la score più inquietante dai tempi di Blue Velvet, un nuovo free-form orchestrale - ancora con la City Of Prague - in grado di amplificarne il sentimento di angoscia a livelli (letteralmente) inudibili. Tutta la partitura è disseminata di rumorismi densamente subliminali. Il breve ballo d’apertura di “Jitterbug” è già geniale, una sovrapposizione illusionistica tra una big band e uno dei suoi dolenti adagi d’archi classici, e il tema principale è uno dei suoi migliori, un’ideale appendice melodica dell’"Irrlicht" di Klaus Schulze. Vengono poi i piatti forti, bozzetti astratti che rendono una sequela asfissiante di brividi lugubri: gong, timpani e dissonanze tremebonde per “Rita Walks”, un pianissimo che esplode in un lampo terrificante in “Diner”, un’irreale oasi elettronica (forse la sua più cupa di sempre) in “Mr Roque”, che poi si scioglie in una paradisiaca fantasia di sintetizzatori, un blues New Orleans-iano reso lamento gotico in “Silencio” (echi rattrappiti di “Dance Of The Dream Man”). E, dulcis in fundo, vengono i dodici minuti di “Dwarfland/ Love Theme”, la miglior prosecuzione dell’incubo in sordina di “Dark Mood Woods” di Twin Peaks, gorgo di frequenze gravissime e oscillazioni d’organo che emette nuove deflagrazioni d’archi cacofonici.
Il cd è completato da altre incursioni nel blues moderno da parte di Lynch a nome Bluebob (“Mountains Falling”, “Go Get Some”), e purtroppo esclude la finale “Mood Dark/ Ending”, una sarabanda di palpiti atonali nel vuoto che sembrerebbe preludere a nuove visioni.

Dopo un Inland Empire (2006) in cui Lynch si riscopre nuovamente autonomo non-musicista, segue un periodo di silenzio lungo un decennio, interrotto solo da progetti paralleli e regie di videoclip.

Frattanto però il battage dei fan di Twin Peaks ha dilagato al punto da spingere il regista a continuare la storia interrotta due decenni prima, chiamando ancora a sé Badalamenti, e rispolverando lo stesso metodo di composizione a due: Lynch a spiegare la scena, il maestro a rispondere di conseguenza (ma stavolta il lavoro si è svolto via Skype). Il risultato, Twin Peaks: The Return (2017), ha nuove divagazioni chiesastiche nello stile di “Voice Of Love” - “Accident/Farewell Theme”, “The Fireman”, “The Chair” -, una nuova cavatina per piano e synth, “Heartbreaking” (parzialmente ricopiata dalla sua “Haunting And Heartbreaking” di Lost Highway), ma anche un tocco di genio enigmatico dei suoi, “Dark Space Low”. Stavolta l’apporto del maestro è dunque circoscritto: tutto il resto di corredo sonoro è affidato a un suo allievo spirituale, Dean Hurley, poi pubblicato in Anthology Resource vol. 1 (2017), oltre a Johnny Jewel dei Chromatics e Lynch stesso.


Gli altri

Molto meno nota, e in generale meno caratteristica, è la produzione di Badalamenti per il cinema al di fuori di Lynch. In pratica, solo due registi captano e fanno propria la medesima forza atmosferica che il maestro ha cristallizzato nella sua opera per il cineasta del Montana, per cercare di personalizzarla ed espanderla: Paul Schrader e Jean-Pierre Jeunet.
Per il primo vale soprattutto Comfort Of Strangers (1990), sorta di concerto grosso per orchestra e strumenti “desertici”, di certo debitrice dello stesso Blue Velvet, ma in parte influenzata anche dal Sakamoto di "Sheltering Sky". L’altro tentativo, Witch Hunt (1994), dipinta da sintetizzatori strappalacrime e jazz fumoso, è una partitura persino didascalicamente Lynch-iana.
Ma l’operazione più audace sta nel capolavoro di Jeunet, City Of Lost Children (1995), una memorabile escursione di magia e grazia, immersa in un particolarismo timbrico alla Morricone, che spazia dall’organetto in tempo di valzer, alle cadenze lente di arpa e fiati, a nuove sperimentazioni sui lineamenti delle tastiere elettroniche.
Il secondo capitolo della collaborazione, A Very Long Engagement (2004), si situa invece tra le più classiche ponderose, grevi fantasie sinfoniche del cinema spettacolare.

Per anni il maestro affianca il lavoro d’autore per Lynch a progetti commerciali. Solo Tough Guys Don’t Dance (1987) di Norman Mailer contiene esperimenti orchestrali che rimandano a Blue Velvet (“Infinity City”, “Cacophonic Bugs”, “A Thousand Locusts”). Arlington Road (1999), diretto da Mark Pellington, e The Beach (2000) di Danny Boyle provano invece a immergere nuovi vocaboli - stilemi industriali (“Bloody Boy”), le sue tipiche deflagrazioni onirico-sinfoniche, ritmi elettronici, dissonanze a sorpresa (“Bizzarre City”, “Vision Of Fantasy”, “Blue Sex”) - nel tradizionale muro di suono orchestrale hollywoodiano. E in Holy Smoke (1999) di Jane Campion peraltro riprende le atmosfere della tradizione del coevo Straight Story, in pratica un concerto per chitarra classica e orchestra, con una predilezione per i toni sudamericani.

Passati questi esperimenti a macchia di leopardo, finalmente nella prima metà dei 2000 il compositore riesce a imporre la sua grammatica. Con The Adversary (2002) di Nicole Garcia, Badalamenti è nella sua forma migliore, in grado di partorire una nuova fantasia di cupi sintetizzatori polifonici, pregno di una tristezza da far sembrare giulivo Twin Peaks, e persino un numero alla Morricone con gorgheggi di soprano, “House Of Silence”. Analoga ma con maggior leggerezza d’animo è la colonna sonora per Evilenko (2004), diretto da David Grieco, una delle sue partiture più eteree, fatta di semplici fraseggi ambientali improvvisati in presa diretta (il cd della colonna sonora sovrappone spezzoni parlati alla musica, ndr).
Secretary (2002) di Steven Shainberg, nello stile di Comfort Of Strangers, assimila elementi e strumenti etnici (flamenco, danze tzigane, cadenze mediorientali, timbri africani etc). Dark Water (2005) di Walter Salles è poi un ritorno in grande stile al noir espressionista di Blue Velvet aumentato di effetti sonori truculenti e Fahrenheit (2005) di David Cage, una delle sue migliori composizioni extra-Lynch, fa ancora meglio: qui davvero si apprezza nuovamente il suo prodigio nel trattare la massa orchestrale come un plasma, come un’estensione delle sue tastiere. Più lenta e melodica suona invece Wicker Man (2006) per Neil LaBute, qua e là densa di suoni da teatrino macabro in stile City Of Lost Children (“Cycling Into A Nightmare”, “The Rose And The Daydream”, “Flashback Memories”).

Da qui inizia la parabola discendente, con pagine scadenti e molto meno ambiziose, fino a Stalingrad (2013) di Fedor Bondarchuk, forse il suo punto più basso, oltre a un'antologia di pessime rivisitazioni orchestrali dei suoi temi, Music for Film & Television (2010). L’eccezione è The Edge Of Love (2008), per John Mayburym, carnevalino d’atmosfere retrò, in parte affidato a un piccolo stuolo di cantanti (Keira Knightley, Suggs, Beth Rowley, Madeleine Peyroux, Patrick Wolf, persino Siouxsie Sioux), da cui l’autore ricava anche un piccolo gioiello di montaggio sonoro, “After The Bombing/ Hang Out The Stars In Indiana”, e in parte pastiche che riproducono i cupi antri di Mulholland Drive (“Underground Shelter”, “Love Me”).

Il maestro si spegne nel 2022 all'età di 85 anni.


End Credits

Le attività extra-cinematografiche, fondamentalmente produzioni per i nuovi artisti del pop (Pet Shop Boys, Dolores O’Riordan, Marianne Faithfull) o anche collaborazioni con act elettronici (Orbital), per Badalamenti costituiscono - in realtà - un ritorno ai mai dimenticati esordi con Perrey, anche se ovviamente ormai privo dell’aspetto mitologicamente pioneristico, e anzi aggiornato a una realtà coeva che ancora riesce a plasmare secondo i propri dettami.

Badalamenti, dunque, è ormai diventato un’anima, più che un freddo modello teorico, una sorta d’ologramma che si frappone tra ispirazione e realizzazione nello spirito creativo degli artisti più atmosferici. Quell’“elevator muzak”, data da certuni alla partitura di Twin Peaks, è di certo una definizione spregiativa e oltremodo riduttiva - analoga alle critiche di faciloneria che i più bigotti figli del conservatorio muovono nei confronti delle musiche di Morricone - che si preferisce dimenticare, ma che al contempo concorre involontariamente a chiarire qualcosa di più sulla sua arte. E’ un’arte che, per definizione, sintetizza. Anzitutto in senso letterale, non per niente affidata ammiccante e vellutata a uno strumento che dice tutto nel nome, il sintetizzatore. Quindi in senso latamente artistico, quando raggruppa e talvolta interseca stilemi antichi e nuovi, dal contrappunto seicentesco alla soundscape novecentesca, al free-jazz, dalla musica da camera all’ambient, al minimalismo. E, infine, è in grado di sintetizzare i termini del linguaggio musicale, un po’ accarezzandoli e un po’ scompaginandoli, per trovare la scorciatoia più diretta al cuore dell’ascolto. Diversi brani di Badalamenti costituirebbero un modello eccellente in una lezione di educazione musicale o di educazione all’ascolto. Non una forma di recupero della musica di consumo, ma una sua elevazione spirituale a totem emotivo.

 

Angelo Badalamenti è morto a 85 anni l'11 dicembre del 2022. A dare per primo la notizia è stato Hollywood Reporter, sottolineando che il pianista statunitense è deceduto nella sua casa in New Jersey.
Annunciando la scomparsa dello zio, Frances, nipote di Badalamenti, ne ha ricordato il lavoro anche su "Blue Velvet", "Cabin Fever" e "Nightmare On Elm Street 3" e le sue relazioni e collaborazioni di lavoro con David Bowie, Michael Jackson, Paul McCartney, Nina Simone, Julee Cruise, Isabella Rossellini, Dolores O'Riordan, Anthrax, Dokken, Eli Roth, oltre naturalmente a David Lynch. Frances Badalamenti ha sottolineato che Angelo era sempre rimasto fedele alle sue radici: non aveva mai lasciato il New Jersey per Los Angeles.

Angelo Badalamenti

Discografia

DAVID LYNCH
Blue Velvet (Original Motion Picture Soundtrack) (Varese Sarabande, 1986)
Soundtrack From Twin Peaks (Warner, 1989)
David Lynch’s Wild At Heart (Original Motion Picture Soundtrack) (Polydor, 1990)
Twin Peaks - Fire Walk With Me (Music From The Motion Picture Soundtrack) (Warner, 1992)
Lost Highway (Original Motion Picture Soundtrack) (Interscope, 1996)
Music From The Motion Picture Soundtrack The Straight Story (Windham Hill, 1999)
David Lynch’s Mulholland Drive (Milan, 2001)
Twin Peaks - Season Two And More (David Lynch Music Company, 2007)
Twin Peaks Archive (David Lynch Music Company, 2011-2012)
Twin Peaks (Limited Event Series Original Soundtrack) (Rhino, 2017)
JULEE CRUISE
Floating Into The Night(Warner, 1989)
The Voice Of Love(Warner, 1993)
The Art Of Being A Girl(Water Music, 2002)
My Secret Life(Purley Sounds, 2011)
THOUGHT GANG
Thought Gang (Sacred Bones, 2018)
Pietra miliare
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