In morte di Jacko - Autopsia di un'icona
di Simone Dotto
Cucire insieme banalità e frasi di circostanza nei cosiddetti servizi-coccodrillo è una spiacevole incombenza che lasciamo volentieri ai vari trafiletti da quotidiano, fanzine e studi aperti di sorta. Tuttavia, anche per chi del pop d'alta classifica non hai mai fatto esattamente la sua "tazza di the", vale comunque la pena di spendere un paio di righe sulla morte di un tipo come Michael Jackson: non foss'altro per capire chi, o meglio, "cosa" è stato per molti anni il cantante americano rispetto all'intero scenario pop internazionale. E allora va ammesso che in casi come questo sottrarsi alle ingenue dicotomie che vogliono la vita privata e quella pubblica ora inversamente proporzionali (ombre nell'una, luci nell'altra), ora indissolubilmente legate (l'eterno Peter Pan dall'infanzia mutilata...) non è in realtà cosa facile. Di fronte a un (s)oggetto come il nostro persino l'uso di certe espressioni proverbiali di largo uso ("ha cambiato i connotati della musica", "artista eclettico che cambia pelle", "i chiaroscuri dell'uomo") ha un suono imbarazzante. Forse perché era proprio Jackson a essere lui stesso "proverbiale": tutto ciò che stava intorno alla sua figura era teso a costruirne un simbolo, quasi un prototipo universale del concetto stesso di popstar. Anche per questo, capire cosa rappresentasse davvero Michael Jackson per la sua (la nostra) epoca significa soprattutto indagare cosa poteva voler dire essere un'icona nello starsystem "gigantista" degli anni Ottanta.
La parabola parte, com'è noto, all'età di soli sei anni tra le fila dei Jackson Five e sotto l'egida del padre-padrone Joseph che, da musicista mancato, spronava i figlioli verso il successo a suon di cinghiate: questo almeno stando a quanto lo stesso Michael avrebbe confessato anni dopo nella sua autobiografia "Moonwalk", tirandosi appresso così disparate agiografie dickensiane (ma anche qualche numero di psicologia spicciola quando si solleveranno le prime accuse di pedofilia). Quel che è certo è che fin dalla più tenera età Jackson aveva provato su di sé i risvolti meno piacevoli di quel sentimento di "ascesa e riscatto" che pervadeva molti ambienti della black music: la Motown, peraltro, fu la prima label a esplicitare l'obiettivo di "piazzare agli ascoltatori bianchi la musica dei neri". Michael resterà con la compagnia di Berry Gordy per tutti i dischi a nome Jackson 5, inaugurando anche una carriera solista parallela che ne consoliderà il nome come interprete di soul e di disco.
Ma il successo mondiale arriva soltanto nel 1979 con il contratto Epic e con la collaborazione del producer Quincy Jones: a dispetto di tutte le hit già collezionate finora è "Don't Stop 'Til You Get Enough" il primo singolo a gettarlo oltre il confine delle R&B chart e a guadagnare la prima posizione della classifica pop. Un martellone da dancefloor il cui ritornello, preso fuori dal contesto erotico-allusivo delle liriche, sintetizza la strada verso il successo del suo autore e farà da adagio ideale a quel decennio "di vincenti" che è di là da venire.
Keep On With The Force Don't Stop
Don't Stop 'Til You Get Enough
Don't Stop 'Til You Get Enough (...)
(da "Don't Stop 'Til You Get Enough", 1979)
A quei tempi il pop aveva già smarrito la verginità dei suoi primi grandi successi e possedeva una piena consapevolezza di quali psicosi collettive potevano scatenarsi intorno a un divo del microfono: per replicare l'effetto mondiale di una Beatlemania o una Elvismania, però, era necessario che la nuova -mania superasse in grandezza tutte quelle che l'avevano preceduta, arrivando a inglobarle. Dal punto di vista mediatico, come da quello musicale, tutto il senso dell'operazione Jackson sembra finalizzato a questo: costruire il congegno pop definitivo, l'idolo che riassuma in sé ogni concepibile alternativa, il Tutt’uno del pop. Basti pensare che il primo disco sotto Epic, Off The Wall, affianca ai brani autografi le firme di Paul McCartney e Stevie Wonder - il che per il tempo equivaleva a dire quanto di il meglio la musica leggera anglofona, bianca e nera, potesse offrire. Inoltre, come il successivo macina-hit Thriller, l'album si avvaleva del contributo di Quincy Jones, già autore dello stupefacente "Back On The Block", una sorta di bignami della storia della musica nera. Anche il sound di Thriller sarà un sontuoso collage di tutti i generi black che avevano già trovato successo presso un'audience bianca: dal funky al soul, dall'errebì alla disco fino a generose anticipazioni di quell'hip-hop che dai successi di Jacko preleverà più di un campione.
Lo stesso cantante (consacrato nella sua porzione visiva dal clip di "Thriller") si propone dal vivo come una summa degli stereotipi da black performer: urletti, mosse strategiche, passi di danza, una carica sensuale che traspare dal fisico e dalla voce. Semplificando si potrebbe dire che il re Jackson fece con il pop ciò che il re Elvis aveva fatto con il rock'n'roll: traghettare presso il pubblico mondiale un capitale artistico fino ad allora esclusivo appannaggio degli afroamericani, prendendosi gran parte dei meriti ma (nel caso del primo) assumendosi in prima persona le conseguenze del passaggio. I progressivi stadi di "candeggio" che vedranno la pelle di Jackson sbiancarsi video dopo video diventano una metafora goffa e iperbolica dell'ansia di accettazione e del wannabeism che accompagna l'attitudine di certa musica nera, in netta contrapposizione alle intransigenze del black pride: checché ne dicessero gli antirazzisti, per la scalata verso il successo sociale importava ancora (e come!) se eri black or white...
Well They Say The Sky's the Limit
And To Me That's Really True
But My Friend You Have Seen Nothing
Just Wait 'Til I Get Through...
(da "Bad", 1987)
Al volgere della nuova decade Jacko rinnova il contratto con la Epic, ma rinuncia alle cure del dottor Jones, arruolando al suo posto Teddy Riley come responsabile del suono di Dangerous (1991). Come ormai d'abitudine l'album scala le classifiche, al traino immediato dei soliti singoli-killer: ma nel 12 gennaio 1992, dopo due mesi di dominio incontrastato, Dangerous verrà rimpiazzato sulla vetta della billboard chart da "Nevermind", degli allora sconosciuti Nirvana. Non si tratta di semplice ricambio generazionale: che fosse proprio un trio d'ispirazione punk-rock, fresco di contratto con la Geffen (e fino a ieri l'altro relegato a suonare nelle palestre di Seattle) a scalzare dalla cima delle classifiche il Re del Pop era un evidente segno dei tempi. L'anno successivo, ai Video Awards di Mtv (da "Thriller" in poi, dimora onoraria di Michael) gli stessi Nirvana manderanno a ritirare il premio per il Miglior Video Alternativo un imitatore di Michael Jackson, inseguito da un poliziotto altrettanto fittizio.
La scenetta del Re del Pop che torna a prendersi il "maltolto" serviva in realtà a Cobain a soci per ironizzare sul "caso Nevermind" e per prendere le distanze dal gran baraccone della cerimonia: è anche significativa, però, per capire come la mitologia Jackson veniva recepita dalle nuove generazioni. Uno spaventapasseri, un mascherone, un mito ingombrante e che ormai aveva fatto il proprio tempo. Da tempo la critica (e a quanto pare anche un certo pubblico) reclamava "autenticità" e finalmente si preparava a ottenerla: prima dal rock di Seattle e dopo anche dal pop, con l’avvento delle nuove brit-generation.
Sarà una coincidenza ma è di qui in poi che la buona stella di Jacko comincerà una lenta ma costante discesa: le composizioni inedite vengono diluite fra due pubblicazioni antologiche e di remix, mentre il performer vive di rendita grazie a qualche sontuoso (e sempre affollatissimo) show dal vivo. A resistere è soprattutto il personaggio, mantenuto in vita a forza di scandali e coup de theatre platealmente privati: il King of Pop che già in passato era divenuto proprietario di una buona fetta degli utili dei Beatles e del primo Bob Dylan, nel 1994 diveniva anche il genero di Elvis, sposandone la figlia Lisa Marie Presley. Solo una trovata commerciale per i beninformati, e senza dubbio una tacca in più su quella linea "espansionistica" che già abbiamo tracciato.
Se a questo poi aggiungiamo il folle progetto di Neverland e le ultimissime cronache che lo davano in allenamento presso il personal trailer Lou Ferrigno (alias lo storico Incredibile Hulk) avremo una vaga idea di quanto lo status di celebrità di Jackson lo avesse trasportato su una dimensione sproporzionata, al limite con il ridicolo.
Gli ultimi vagiti del musicista risalgono a nove anni fa, quando, al faticoso giro di boa di un altro decennio, la Sony diede alle stampe un nuovo album di inediti: per via del contratto in scadenza e dell'ormai offuscata fama del suo autore, il disco fu poco promosso e le vendite inferiori alle aspettative, rispetto alla micidiale media di Jacko. Significativo e ironico assieme il titolo che fu scelto per battezzarlo: Invincible.
Post Mortem
Nel momento stesso in cui scriviamo si susseguono ancora gli strascichi di notizie su una seconda autopsia, su una iniezione al cuore sospetta e sulla quantità di farmaci ingerita poco prima del decesso: quelli sulle modalità della morte di Jackson più che interrogativi, sembrano quasi inconsapevoli speranze di scovare un omicidio, un'overdose o un colpo di scena qualsiasi che sappia chiudere adeguatamente un'esistenza leggendaria. E' già difficile di per sé vedere un idolo spegnersi fuori dai riflettori e dalle ribalte, ben lontano dall'apice del proprio successo: riconoscere che sia stato un banale infarto di mezz'età a togliergli la vita significherebbe ridursi ad ammettere che, in fin dei conti, dietro la grandezza del mito, si nascondeva nulla più di un uomo.
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ASCESA E CADUTA DEL MOONWALKER
di Claudio Lancia
Michael Jackson, il cantante che più di qualsiasi altro è riuscito a sdoganare la black music facendola diventare un fenomeno di massa non solo per il popolo di colore, è nato a Gary (Indiana) il 29 agosto del 1958.
Dopo le prime apparizioni locali, sotto la guida dei genitori Joseph e Katherine, ad appena undici anni è già una star come principale voce dei Jackson Five, boy-band composta insieme ai fratelli Jackie, Jermaine, Tito e Marlon.
I Jackson Five sul finire degli anni 60 vengono messi sotto contratto dalla Motown, la più importante casa discografica soul del mondo, e grazie alla spinta di un team così valido divengono rapidamente famosissimi in tutti gli Stati Uniti.
Il loro rhythm & blues allegro e spensierato li porta più volte ai vertici delle classifiche americane con una serie di singoli fra i quali vanno ricordati almeno "I Want You Back", "ABC" (Grammy come miglior canzone pop nel 1971), "The Love You Save" e "I'll Be There".
Dal 1971 Michael, parallelamente al percorso portato avanti insieme ai propri fratelli, intraprende la carriera solista che gli varrà la stardom planetaria.
Nel 1975, a seguito del passaggio alla Epic e del conseguente ingresso di Randy al posto di Jermaine (che resta in Motown come solista), i Jackson Five mutano la propria ragione sociale in Jacksons, continuando a sfornare dischi sempre più "adulti" e di grande successo, fra i quali ricordiamo almeno Destiny (1978), trainato dall'hit single "Shake Your Body". Sempre nel 1978 Michael debutta come attore nel film "The Wiz" a fianco di Diana Ross, con la quale incide il duetto "You Can't Win".
Ma Michael Jackson inizia a essere considerato una star mondiale soltanto nel 1979, quando incrocia il proprio destino con quello del produttore Quincy Jones (conosciuto sul set di "The Wiz", dove ricopriva l'incarico di direttore musicale), cementando un sodalizio fortunato come pochi altri nella storia del pop.
Il singolo "Don't Stop 'Till You Get Enough" (Grammy come miglior performance R&B maschile) sul finire dell'estate 1979 diventa un tormentone e fa di Off The Wall il primo vero disco post-adolescenziale di Michael solista.
In Off The Wall suonano musicisti di prim'ordine (Steve Porcaro, Greg Philinganes, George Duke, Paulinho Da Costa, giusto per fare qualche nome) e vi trovano posto dieci canzoni (tre composte personalmente da Jackson) quasi tutte ballabili (eccetto la soffusa "She's Out Of My Life") e rivestite di lussuosi arrangiamenti, spesso punteggiati da meravigliosi fiati.
L'album si inserisce con chirurgica precisione nel movimento black-disco, diventato da un paio di anni di massa grazie alla deflagrazione provocata da film e colonna sonora di "Saturday Night Fever". E allora canzoni come la title track e la conclusiva "Burn The Disco Out" si stagliano come perfetti riempipista di classe sopraffina, mentre "Rock With You", fenomenale R&B ballabile a battuta lenta, diventa il secondo singolo di maggior successo estratto dal disco.
Una canzone a testa viene regalata da Paul McCartney (la prescindibile "Girlfriend") e da Stevie Wonder ("I Can't Help It"), due personaggi che ritroveremo altre volte nel prosieguo della storia.
Questa riuscita fusione fra black e disco avrebbe raggiunto la perfezione quattro anni più tardi nel capolavoro di Jackson, Thriller, che sarà pubblicato nel novembre del 1982. Prima di iniziare le session del nuovo lavoro solista, nel 1980 Michael trovò il tempo per partecipare all'ennesimo disco dei Jacksons, Triumph, potente e dance-oriented, trainato dal tormentone "Can You Feel It?".
Thriller, destinato a diventare il disco più venduto della storia (secondo le statistiche dovrebbe attualmente aver superato i cento milioni di pezzi in tutto il mondo), vede nuovamente Quincy Jones alla produzione di una serie di canzoni che spopoleranno fin negli angoli più remoti del globo.
Il colpo da ko è "Billie Jean", il primo singolo estratto, che usufruisce della spinta della neonata Mtv. Jackson sarà il primo artista nero a veder programmare un proprio video sulla tv musicale più nota del mondo, nonché uno dei primi artisti a riuscire a sfruttare la potenza del videoclip, divenendo la prima star multimediale globale. Per due anni gli estratti da Thriller imperverseranno ovunque, l'album stazionerà per diversi mesi ai primi posti delle classifiche di tutto il mondo, e Jackson si aggiudicherà ben otto Grammy Awards, raggiungendo una notorietà che gli astri nascenti Madonna e Prince riusciranno soltanto ad avvicinare negli anni immediatamente successivi.
Nel disco si alternano dance-song dal groove inesorabile ("Billie Jean"), duetti d'eccezione ("The Girl Is Mine" con sir Paul McCartney), incroci fra funk e rock che anticipano di anni luce il crossover ("Beat It", con alla chitarra Eddie Van Halen, la prima di una serie di collaborazioni con grandi chitarristi), momenti più pacati ("Human Nature", "The Lady In My Life"), esplosioni di sano delirio da dancefloor con radici afro ("Wanna Be Startin' Somethin'"), e un paio di riempitivi di classe ("Baby Be Mine", "P.Y.T."). E poi c'è la title track, in pratica il sonoro di una rappresentazione cinematografica dove si susseguono effetti strumentali, porte che si chiudono, ululati notturni e l'inquietante voce della guest star Vincent Price; il brano sarà rappresentato da uno storico videoclip, diretto da John Landis: vero e proprio cortometraggio horror dalla durata di 13 minuti.
Oltre a Quincy Jones, nell'economia di Thriller è fondamentale l'apporto dell'arrangiatore e compositore Rod Temperton (già presente in Off The Wall), corresponsabile della perfezione formale del disco, album interrazziale per antonomasia, nel quale non si distingue più dove finisca il nero e dove inizi il bianco.
Dopo il mostruoso successo di Thriller, Michael Jackson assurge a incontrastato "King of Pop", un re mida in grado di trasformare in oro ogni cosa. Le sue apparizioni in dischi altrui valgono il successo immediato: basti pensare al duetto "Tell Me I'm Not Dreamin'" nell'album solista del fratello Jermaine, o alla comparsata in "Somebody's Watching Me", effimero successo di Rockwell (figlio del boss della Motown), fino allo scanzonato singolo pop "Say Say Say" in coppia con Paul McCartney, che diviene una hit mondiale.
I fratelli vogliono battere il ferro finché è caldo, ed ecco che Victory, nuovo mediocre lavoro a firma The Jacksons, raggiunge vendite da capogiro grazie alla presenza di Michael e al singolo super programmato su Mtv "Torture".
Intanto, anche le due sorelle sfruttano l'effetto-trascinamento e si impongono all'attenzione del pubblico con uscite discografiche in proprio; delle due La Toya sarà soltanto una meteora, mentre Janet diventerà una stella del mainstream-pop.
Michael si afferma anche come apprezzatissimo ballerino, inventando persino nuovi passi di danza, come il celeberrimo Moonwalk, che nel 1988 darà anche il titolo ("Moonwalker") a un film da lui interpretato.
Nel tempo di Live Aid e dell'impegno umanitario del rock, Jackson contribuisce alla scrittura e all'esecuzione di "We Are The World" (1985), composta con la finalità di raccogliere fondi per aiutare i bambini africani: una parata di stelle della musica americana - da Bob Dylan a Bruce Springsteen, da Stevie Wonder a Ray Charles - che sbancherà le classifiche di tutto il mondo.
Inizia forse da qui l'interesse un po' particolare del King Of Pop per i bambini, che lo porterà nel tempo ad avere "eccessive attenzioni" verso i minori e a essere accusato di pedofilia.
Iniziano anche le stramberie di questo eterno Peter Pan. Ben informati raccontano di una camera iperbarica installata nella sua residenza regale (Neverland) per sconfiggere l'invecchiamento e preservarsi dalle malattie, e si inizia a intravedere uno schiarimento nel colore della sua pelle. Col passare degli anni Jackson dichiarerà di essere affetto da una rarissima forma di vitiligine, ma i maliziosi saranno pronti a scommettere sul ricorso alla chirurgia estetica per sbiancare definitivamente la sua pelle, tesi corroborata dai costanti lifting e ritocchi anche ad alcuni tratti del volto. Nasce così l'assurdo paradosso dell'artista nero di maggior successo disposto a fare qualsiasi cosa per assecondare un proprio malcelato desiderio: diventare bianco.
Jackson si lancia anche nel mondo degli affari, acquisendo parte dei diritti d'autore del catalogo dei Beatles, cosa che incrinerà i suoi rapporti con Paul McCartney, e firmando un faraonico contratto con la Pepsi, per la quale diventa testimonial.
Per avere fra le mani il successore di Thriller i fan dovranno attendere ben cinque anni, ma Bad (pubblicato alla fine di agosto del 1987), pur raggiungendo vendite di tutto rispetto, si posizionerà su livelli qualitativi decisamente inferiori rispetto al predecessore. Affrontare la successione del disco più venduto di tutti i tempi avrebbe spaventato chiunque, ma Jackson evidentemente soffre più del dovuto e il risultato finale delude le attese.
Bad è un concentrato di funk-pop striato da venature soul (specie nei brani più dolci del lotto, che poi sono anche i migliori: "I Just Can't Stop Lovin' You", in duetto con Siedah Garrett, "Liberian Girl" e "Man In The Mirror", dove Michael tenta un approccio "umanitario", interrogandosi sullo stato del pianeta) e rock (con gli assoli di Steve Stevens, allora chitarrista di Billy Idol, in "Dirty Diana").
Nonostante la presenza di Stevie Wonder nel duetto "Just Good Friends", e un esercito di eccellenti musicisti, la produzione di Quincy Jones stavolta risulta più caotica del solito. "Speed Demon", "Another Part Of Me" e la stessa "Bad" (con un imponente video diretto da Martin Scorsese che terrà incollati davanti agli schermi televisivi milioni di persone in tutto il mondo in occasione della prima programmazione) sarebbero state composizioni accettabili nel disco di un esordiente, non certo in quello del re mida del pop.
Bad diverrà comunque un successone, trainato anche dagli altri singoli "The Way You Make Me Feel" e "Smooth Criminal", per il quale sarà realizzato un video della durata di circa novanta minuti.
Il lavoro successivo è Dangerous, pubblicato nel 1991.
Siamo ormai nell'era del compact disc e aumenta il numero delle tracce, stavolta sono quattordici e rappresentano la definitiva svolta da un approccio black a uno più dedito a un elettronica fredda e ripetitiva, destinata apertamente ai dancefloor. Non importa il contenuto dei testi, Michael può scrivere sui disastri del mondo o di relazioni finite male, la cosa che conta e poterci ballare su senza pensarci troppo.
E da questo punto di vista le cose funzionano: il primo dei quattro lati della versione su vinile è come un mini dj-set dove si susseguono le ritmate "Jam", "Why You Wanna Trip On Me", "In The Closet" e "She Drives Me Wild". Il problema è che i tappeti elettronici scelti per costruirci sopra i pezzi sono così ripetitivi che si fa quasi fatica a distinguere un brano dall'altro.
Eppure Dangerous si affermerà come uno dei lavori più venduti del pop degli anni 90, risultando il secondo bestseller nella discografia di Jackson, e attualmente il quindicesimo disco più venduto nella storia della musica, con quasi trentacinque milioni di copie. E questo grazie all'eterogeneità delle scelte, perché negli altri tre lati del disco Jackson riesce ad accontentare praticamente tutti: dai teenager invaghiti del rock dei Guns 'n' Roses ("Who Is It", "Give In To Me", con Slash protagonista alla chitarra), ai più attempati amanti del rassicurante pop patinato che fa sfaceli su Mtv (gli hit single "Remember The Time" e "Black Or White").
Non mancano i richiami al sacro ("Keep The Faith"), un paio di lenti, stavolta un po' troppo ridondanti ("Heal The World", "Will You Be There") e l'efficace mid-tempo finale che dà il titolo all'intero album.
Nel maggio del 1994 Michael convola a nozze con Lisa Marie Presley, figlia di Elvis e Priscilla Beaulieu, ma l'unione durerà poco e sembrerà ai più soltanto un affare di facciata. Il suo aspetto efebico spinge i tabloid a descriverlo come un "Peter Pan" asessuato, intimorito dagli altri e dalla sua stessa ombra. Altrove spuntano indiscrezioni sulla sua presunta natura gay o bisessuale. Ma a spingere verso il baratro la sua immagine e la sua stessa vita saranno altre testimonianze. Come quella di Jordan Chandler, il bambino che nel 1993 lo accusa di aver abusato di lui: finirà con un accordo e un assegno di 22 milioni di dollari delle mani di Evan Chandler, il padre del bambino (quest'ultimo però ritratterà tutto diversi anni dopo). Su Jackson piovono altre accuse di molestie a minori, molte delle quali sarebbero state commesse all'interno della sua residenza di Neverland. E' una discesa agli inferi che si concluderà soltanto nel giugno del 2005 con l'assoluzione del Re del Pop parte del tribunale di Santa Maria, ma che lascerà molte ombre e incognite sulla sua strada.
Nel 1996 Jackson si sposa per la seconda volta, con la sua ex-infermiera Deborah Jeanne Rowe, dalla quale avrà due figli e dalla quale divorzierà nel 1999.
Un terzo figlio, Michael, lo otterrà come frutto di un'inseminazione artificiale da una madre sconosciuta.
Jackson ormai è un uomo-copertina soltanto per faccende legate al gossip, ai problemi giudiziari, all'incapacità secondo la stampa di dare una corretta educazione ai propri eredi, come quando viene ritratto con uno dei suoi figli pericolosamente sporto da un terrazzo.
Nel 1995 esce l'atteso nuovo disco. HIStory è un doppio album, con quindici successi del passato e quindici composizioni inedite. Fra gli ospiti compaiono il rapper Notorious B.I.G., i Boyz II Men e Shaquille O'Neil.
Spicca in apertura il primo singolo "Scream", grintoso duetto con la sorella Janet, accompagnato da un video iper-tecnologico corredato da particolari effetti speciali e riuscite coreografie, che risulterà essere il clip più costoso di sempre.
Gli ingredienti ormai sono quelli abusati: basi ritmiche dance ("This Time Around", "2Bad"), infiltrazioni afro ("They Don't Care About Us"), vaghe influenze hip-hop ("Money") e una manciata di lenti non sempre a fuoco (ma almeno "You Are Not Alone" ed "Earth Song" possiamo considerarli all'altezza dei suoi slow migliori). Jackson ne approfitta anche per sferrare il suo personale contrattacco contro la stampa: il titolo della sincopata "Tabloid Junkie" è tutto un programma.
Nella tracklist compaiono anche due cover piuttosto discusse, "Come Together" dei Beatles e "Smile" di Charlie Chaplin.
Le idee, insomma, scarseggiano e il talento non appare più neanche lontano parente di quello di dieci anni prima.
Nel 1997 esce il riempitivo Blood On The Dancefloor, disco con otto versioni remix di canzoni già edite più cinque inediti, certamente il punto più basso e irrilevante del percorso artistico di Jackson.
Per un disco completamente nuovo bisognerà attendere il 2001, ma Invincible risulterà essere il suo lavoro più debole.
La volontà di realizzare un album dai suoni potenti si infrange contro l'inconsistenza di brani ripetitivi già nei titoli, basti citare il trittico di apertura, formato da "Invincible", "Heartbreaker" e "Unbreakable", dove ci si aggira di nuovo in territori iper-ritmati, con inserti hip-hop, nei quali Michael pare voler dichiarare al mondo la propria indistruttibilità, senza riuscire a essere mai davvero convincente.
Anche questa volta Jackson sembra più lucido nei momenti più tranquilli, ma le uniche tracce che davvero meritano di essere ricordate sono il primo singolo "You Rock My World" (l'unico momento dal quale trasuda la verve dei tempi migliori) e la dolce ballata "Whatever Happens", impreziosita dalla chitarra del sempreverde Carlos Santana.
Invincible ovviamente vende benino, perché Michael è un nome che riesce comunque sempre a catturare l'attenzione, ma i tempi d'oro sono davvero lontani e il cantante accuserà anche la propria casa discografica di non aver adeguatamente promosso l'album.
In questo periodo "Jacko" alterna momenti in cui appare alla deriva (come quando viene ritratto in alcune impietose foto) ad altri nei quali si mostra ancora in buona forma, come ad esempio in alcune apparizioni televisive per Mtv.
Intanto nel 2003 riscuote grande successo in tutto il mondo il greatest hits Number Ones, che raccoglie 18 fra le canzoni più note del Moonwalker, compreso l'inedito "One More Chance".
L'anno seguente viene immesso sul mercato un ricco cofanetto ad edizione limitata intitolato The Ultimate Collection, comprendente quattro cd, un Dvd ed un libro, ma è chiaro che trattasi solo di operazioni speculative ideate per raggranellare un po' di denaro.
Nel 2008 trapela la notizia secondo la quale Jackson starebbe mettendo a punto nuove composizioni sotto la guida di Will.I.Am. dei Black Eyed Peas, uno degli artisti più ricercati del nuovo millennio.
Iniziano a circolare voci su un indebitamento da capogiro di Jackson (400 milioni di dollari) e si lavora a un nuovo tour mondiale per "fare cassa", con l'annuncio clamoroso di cinquanta date previste a Londra. In molti sono a chiedersi se le farà per davvero o se possa trattarsi di una mera trovata pubblicitaria. I biglietti vanno a ruba ma Michael in effetti quei concerti non li farà mai.
Il 25 giugno 2009, Michael Jackson muore improvvisamente a causa di un arresto cardiaco, forse provocato dall'ingerimento di un mix di farmaci (ma le voci sulle ipotesi di suicidio e omicidio, quest'ultima sostenuta anche da alcuni familiari, si susseguiranno a lungo). Una fine misteriosa, che, come si confà alle star scomparse prematuramente, alimenterà per sempre il giallo. La cerimonia funebre-evento allo Staples Center di Los Angeles è stata la più imponente nella storia della musica dai tempi di Elvis Presley, con un'audience televisiva di quasi un miliardo di persone.
Nel 2010 esce l'immancabile disco postumo, Michael. Si tratta di brani più o meno incompleti, portati a termine da diversi produttori (scelti comunque da lui, tra cui il fidatissimo Teddy Riley), alcuni dei quali provenienti da session diverse disseminate negli ultimi sei anni. Il loro ascolto è tuttavia utile per farsi un'idea sullo stato in cui si trovasse l'artista Jackson nei suoi ultimi anni di vita. Ormai che il suo nome non brillava più come un tempo forse avrebbe fatto meglio a non riposare sugli allori, evitando che il suo stile si cristallizzasse definitivamente tra due estremi: pezzi ballabili costruiti su beat sincopati e ansimanti, conditi da beatbox, urletti e vetri in frantumi, e ballate sempre più languide, melliflue e, soprattutto, in numero sovrabbondante. L'autobiografica "Breaking News" (ennesima invettiva contro i media), "Hollywood Tonight" e "Monster" (inutile poi collaborare col nome hot del momento se non se sfrutta subito la popolarità... a chi interessa un suo duetto con 50 Cent, adesso!?) fanno tutte parte della prima tipologia e per farle impallidire non è necessario tornare con la mente ai tempi di Bad, ma quelli del già non eccelso HIStory (di cui sembrano scarti) sono più che sufficienti.
Sull'altro versante, quello lento, tocca sorbirsi l'infantile buonismo di "Hold My Hand" (il nome non più hot, in questo caso, è quello di Akon prima della riabilitazione Guetta), l'immancabile ballad a tinte gospel, "Keep Your Head Up" e quella che è, a tutti gli effetti, il suo testamento musicale, una solo discreta "Best Of Joy". Strappo alla regola (per l'album in questione, ma non per le sue abitudini) è il pezzo rock "(I Can't Make It) Another Day": se un tempo, a coadiuvarlo per brani del genere, c'erano Eddie Van Halen e, in seguito, il più fedele Slash, qualche anno fa toccò a Lenny Kravitz entrare in studio con lui per energizzare il suo lato più aggressivo; c'è poco da aggiungere, un simile anticlimax si spiega da solo. Tutto da buttare allora? Non proprio, visto che a fine album arrivano, come un salvagente a cui aggrapparsi, i due pezzi migliori, una rivisitazione di "Behind The Mask" (Yellow Magic Orchestra), che aggiunge sax e atmosfere future-disco alla sua rodata formula dance, e una sobria ballata acustica, "Much Too Soon"... niente di eccezionale ma guarda caso, quasi a ribadire il concetto, si tratta di brani i cui demo originari risalivano alle session di Thriller e la differenza tra la bontà melodica di questi pezzi e tutti gli altri brani è sensibile.
Quattro anni dopo, la Epic è nuovamente a caccia di inediti. Il tempismo è perfetto. In un periodo in cui la disco music sembra tornata di moda in classifica, non poteva certo mancare il ripescaggio di uno degli esponenti più celebri del genere. Stavolta Xscape gioca leggero; solo 8 tracce raccolte da svariati periodi della carriera (per lo più dagli anni 90 in poi). Con Timbaland a capo del team di rimaneggiatori (presenti anche J-Roc e McClain), i vecchi demo vengono elegantemente "dopati" con una patina di r'n'b dai forti connotati disco, incastri d'archi ed un armamentario di percussioni per i pezzi più ritmati. Suona tutto molto sfizioso infatti, ma ormai la "firma" di Timbaland - quella sorta di strati sovrapposti di tribalismo sintetico mid-tempo - per quanto di classe, appare quasi immutata dai tempi del terzo disco di Aaliyah (un album di ben 13 anni fa). Forse la veste sarà pertinente con l'età di alcuni brani in questione, ma per l'orecchio dell'ascoltatore moderno c'è davvero qualcosa per cui eccitarsi ancora? Considerato poi che, senza Jackson in studio, sarebbe stato un sacrilegio "storpiare" le canzoni in maniera più interessante (vedasi la recente "Esperienza" di Timberlake), il lavoro è quindi poco più di un semplice rivestimento, ben eseguito e rispettoso, ma a conti fatti decisamente di maniera.
Non c'è niente di brutto su Xscape, ma la sbiadita agressività di brani come la title track, "Slave To The Rhythm" o "Do You Know Where Your Childern Are" (titolo tra l'altro sbagliatissimo considerata la famosa causa giudiziaria), non è certo in grado di competere col canzoniere del passato. La curiosità maggiore, quindi, è rappresentata dai due pezzi più vecchi. Primo tra tutti il singolo "Love Never Felt So Good", sfiziosissimo brano del periodo d'oro a cavallo tra Off The Wall e Thriller, ed i leggiadri coretti ovattati della ballata "Loving You", fuoriuscita dal periodo di Bad. Però se Battle of the Outtakes dev'essere, allora niente su Xscape può competere con una "Streetwalker", un brano che lo stesso Jackson inserì nella ristampa di "Bad" del 2001 - chissà se avrebbe fatto altrettanto con almeno una delle tracce quì presenti?
Se non altro stavolta, in un esercizio di inedita trasparenza, la versione deluxe di Xscape riprone tutte e 8 le tracce esattamente come erano state lasciate in versione originale. Un perfezionista come Jackson si starà rivoltando nella tomba all'idea di queste versioni "grezze" rilasciate al pubblico, ma se di operazione nostalgia si tratta, allora queste sono quanto di più vicino ci si possa avvicinare oggi alla sua figura. Una linea di synth ormai invecchiatissima ("Chicago"), il semplice passo d'uomo di "A Place With No Name" o il 7" suonato a 33" nell'intro di "Loving You" non tramutano magicamente le canzoni in classici, ma mettono in risalto il protagonista, dando la momentanea illusione che sia ancora tra di noi. Ed è ancora "Love Never Felt So Good" a svettare sul resto, con un demo voce/piano (suonato da Paul Anka) che, nella sua semplicità, sublima tutta l'arte di Jackson come vocalist sopraffino: ritmo mantenuto con uno schiocco di dita appena e delivery ineccepibile, davvero non c'era bisogno di altro.
Semmai, sarebbe stato assolutamente da evitare che suddetta "Love Never Felt So Good" si trasformasse pure in un duetto con Timberlake, perché sentire quest'ultimo dire "lemme see ya move" a uno che sappiamo essere in avanzato stato di decomposizione è alquanto grottesco.
Nella battaglia tra i fan più accaniti per i quali "è tutto bellissimo", e gli eterni detrattori del personaggio (per lo più aggrappati alle controverse vicende biografiche), Xscape cade più o meno nel mezzo. Un album con due facce, una versione rimaneggiata con una montagna di stucco e di smalto per il pubblico generalista, e una deluxe capace di incuriosire i più appassionati. Ma nel complesso, ancora niente di veramente memorabile.
Contributi di Stefano Fiori ("Michael") e Damiano Pandolfini ("Xscape")