First Aid Kit

“I won’t take the easy road”, cantano le sorelle Soderbergh nell’iniziale singolo di lancio “My Silver Lining”, con quello spirito femminista vintage che in realtà si può applicare anche a questa loro nuova avventura artistica, intrapresa insieme a Mike Mogis.
“Stay Gold” rappresenta infatti una prosecuzione del grande successo di “The Lion’s Roar” tanto “normale” da essere inaspettata: quando potevano diventare le nuove star del country americano, le First Aid Kit si sono chiuse in un ranch con un produttore di rango ma non certo da classifica, per produrre il loro disco forse più dimesso sul piano della scrittura (“Waitress Song”) e degli arrangiamenti.

I brani di “Stay Gold” non mostrano infatti l’esuberanza del disco precedente, ma una certa consapevolezza di fondo che amalgama anche le misurate concessioni orchestrali. Così anche brani più pop come la title track, a metà tra i Fleet Foxes più “percussivi” e un vago tono pop anni Ottanta, si uniformano alla vena più riflessiva ed esistenziale di Klara. Bisogna solo sperare che, a forza di cercare di riprodurre le canzoni di qualcun altro, escano fuori le sue – e forse in qualche modo sta succedendo.
In questo contesto, l’Americana soffuso del disco – come se tutti gli strumenti fossero una pedal steel – suona parecchio uniforme, complici anche le armonizzazioni sempre piuttosto monocordi delle due (“Cedar Lane”), ma soprattutto la scrittura meno efficace. Va detto che non si ha ancora la sensazione di un disco scritto ed eseguito col pilota automatico, se non in qualche occasione (“Master Pretender”).

“Stay Gold” però rappresenta il consolidamento dell’impronta musicale – per quanto lieve – delle First Aid Kit, che chiunque poteva aspettarsi di vedere snaturato in questo seguito di “The Lion’s Roar”. È ovvio che serve però qualche stimolo in più per scrivere un altro album in qualche modo significativo.

18/06/2014