Incontriamo Klara e Johanna Söderberg in una giornata che le due sorelle dedicano interamente ad approfondire il loro progetto con i media italiani. La rapida e incalzante successione delle interviste potrebbe rischiare di annoiare le due sorelle, che invece sono sempre molto disponibili e si dimostrano liete di rispondere con dovizia di particolari a tutte le curiosità che vengono loro chieste.
La musica dei grandi cantautori degli anni 60 e 70 riecheggia in tutta la vostra produzione. Ne citate persino alcuni in "Emmylou". Vi capita di ascoltare un album e pensare "Voglio scrivere una canzone di Bob Dylan" o di Neil Young? È successo per qualcuna delle tracce di "The Lion's Roar"?
J: Sì, lo facciamo sempre, per quasi tutte le canzoni avviene così.
K: Assolutamente! Sai, certe volte ascolti delle cose e pensi "Dio, è così bello che vorrei averlo scritto io", o altrimenti "Se fossi Joni Mitchell, che canzone scriverei in questo momento?", e così mi metto a suonare.
J: Sì, quello rimane una specie di primo take del pezzo.
K: Sì, poi il sound diventa comunque il nostro. Ho provato a imitare qualcun altro, ma poi non ha funzionato, voglio suonare solo come me stessa. Però è una buona osservazione.
Un tempo le canzoni facevano la storia, potevano cambiare il pensiero delle persone, o per lo meno, così sembra a noi adesso. Ho letto spesso che vostra madre vi parlava del femminismo, e mi sono chiesto se scrivere quel genere di canzoni sia uno dei vostri obiettivi. Pensate sia ancora possibile scrivere pezzi come quelli, ai nostri giorni?
J: Mmmhh... Non saprei...
K: La gente ascolta musica in modo molto diverso, ora. Negli anni 60 e 70 le case discografiche sceglievano gli artisti dicendo "queste sono le persone in cui crediamo" e diventavano grandi star. Ora chiunque può avere un pubblico, se fai musica puoi avere dei fan, ma non è la stessa cosa.
J: Forse ci potrebbe essere una canzone che tutti ascoltano e che allora cambierebbe il mondo, ma è da un po' di tempo che non succede...
K: No, no...
J: Però io credo lo stesso che la musica possa cambiare le persone, che tiri fuori il meglio da ognuno. Noi cerchiamo di fare questo, di usare, quando siamo arrabbiate o tristi, la musica in modo positivo, in modo da ispirare le persone a fare lo stesso; come in "You're Not Coming Home Tonight", una delle prime canzoni che abbiamo scritto: parla di una casalinga che lascia il marito... credo che in qualche modo sia una storia femminista.
K: Speriamo che tutte le casalinghe la ascoltino! [ride]
J: Sì! L'influenza della prospettiva femminista che ci ha passano nostra madre si nota in tutte le nostre canzoni. Sai, vorremmo essere dei modelli di comportamento per tutte le ragazze molto giovani, e le ragazze in generale...
K: La gente in generale! Per quanto mi riguarda, la musica che ascolto mi spinge a essere una persona migliore, mi fa sentire meglio, è una specie di consolazione per quando mi sento triste – non lo faccio pesare a nessuna, ascolto un po' di musica e mi sento meno sola, e quindi più felice, in un certo senso.
[Guia]Penso che, comunque, la vostra educazione femminista traspiri dalle vostre canzoni, magari inconsciamente, anche in un altro modo. Siete due ragazze molto giovani, e sembrate così delicate e sensibili, come delle fate, ma poi i vostri testi hanno frasi tipo "Sono una fottuta codarda, ma lo sei anche tu...", che uno non si aspetterebbe, solo guardandovi.
J: Grazie, è una cosa molto importante per noi, quel tipo di immagine non ci appartiene. Non vogliamo suonare per come appariamo, cerchiamo sempre di evitare questa cosa. Vogliamo che la nostra musica sia vera e importante, vogliamo cantare situazioni di tutti i giorni. Tutto il resto della musica non ci sembra per nulla onesta riguardo a nulla che sia importante, cioè, va bene, è divertente, ma noi vogliamo fare musica che tocchi le persone.
Non avete paura di cadere vittime di questa "Retromania" imperante?
J: Lo siamo già! [ride] Siamo molto affascinate da tutto ciò che la riguarda...
K: Non so se sia una cosa negativa, perché per me c'è così tanta musica così tanto tanto tanto bella, non c'è niente di male ascoltarla. Il fatto che tutto debba necessariamente essere sempre nuovo è una cosa che succede anche a causa di internet, appena ti annoi di una cosa che stai sentendo ne cerchi una nuova. Per me invece funziona andando indietro, e non è per niente male.
Parteciperete di nuovo all'End Of The Road Festival quest'anno - e anche noi, dall'altra parte, per il quarto anno consecutivo. È come Woodstock, ma in una forma edulcorata e confortevole. Cosa ne pensate? Tutto questo revival folk è solo vintage memorabilia, completamente spogliato dal suo significato originario, o pensate ci siamo ancora delle "ragioni più grandi" del solo vedere dei concerti, per andare ai festival, per il pubblico? Forse è più liberatorio che deprimente pensare che ora sia veramente la musica che conta, alla fine.
J: I Festival sono sempre qualcosa in più che solo musica. Soprattutto in Inghilterra, è magnifico, le persone hanno degli interessi culturali più ampi che la sola musica, ci sono scrittori, attori... E l'End Of The Road è anche un festival per famiglie, molto calmo, rilassato. Per noi è molto divertente, è come una grande festa, facendo tutti lo stesso genere possiamo passare un po' di tempo con un sacco di persone che conosciamo.
La vostra prima apparizione in un festival è stato a SXSW, però, circa il contrario dell'EOTR per quanto riguarda fama e dimensioni. Come è stato debuttare in una simile occasione? E come vi sentite a suonare a Coachella in Aprile, quest'anno?
K: SXSW è stato il nostro primo festival in America, ma probabilmente il ventesimo della nostra carriera. Abbiamo suonato in Svezia, Danimarca e Inghilterra, prima.
J: Coachella è leggendario, veramente non vediamo l'ora; e ora sono due weekend con la stessa lineup, quindi suoneremo due volte. Sarà molto divertente, se perderemo qualcuno potremo semplicemente vederlo la settimana dopo!
La vostra storia mi ricorda un po' quella di un altro artista svedese, The Tallest Man On Earth. Arrivò negli Stati Uniti pressoché sconosciuto, e dopo pochissimo tempo apriva già per Bon Iver. Lo conoscete? Qual è il vostro rapporto con la scena del vostro paese?
K: Lui è un grande, una fonte di ispirazione...
J: È uno dei pochi artisti in Svezia che faccia musica simile alla nostra, e per noi è veramente esaltante vederlo fare così bene; serve anche da punto di riferimento per le persone, ha un sound molto americano, come noi, e quindi le reazioni che abbiamo sono molto simili. La musica svedese non è il nostro principale interesse, sai, gli ABBA, c'è una forte tradizione pop.
[Stefano] La mia band preferita del momento è svedese, probabilmente la conoscete, i Kent..
J+K: SÌÌ!! [si guardano e iniziano a cantare all'unisono "Parlor"]
J: Deve essere interessante per te, perché non sai di cosa stanno cantando! Sai, c'è anche Demien (??), anche lui è svedese, ed è diventato famoso in America, è affascinante, perché canta in svedese.
K: È molto anni 70 e psichedelico.
J: Sì, gli piace molto tutta la musica psichedelica svedese degli anni Settanta.
E per quanto riguarda l'indie-pop, tipo I'm From Barcelona, per esempio?
K: Sì, certo, ci piace anche quello.
J: Sì, mi rendo conto ora che forse sono tutte cose molto connesse alla nostra musica.
K: NO!! Però penso che per noi sia sempre stato molto illuminante crescere sapendo che tutte questi gruppi svedesi sono importanti a livello internazionale; credo ci abbia reso consapevoli che avremmo potuto fare lo stesso.
J: sì, è una nazione molto piccola, e praticamente tutti si conoscono e supportano tra di loro, quindi, quando abbiamo iniziato, altri musicisti si sono interessati e ci hanno sostenute, come una grande famiglia che fa dischi, è veramente stupendo.
[Stefano] È interessante perché, nonostante non possa dirlo con sicurezza non essendo un musicista, mi sembra che qui in Italia le persone che appartengono alla stessa cerchia indipendente per la maggior parte del tempo faccia finta di essere amica solo come posa, non sinceramente; mentre voi in Svezia sembrate veramente legati.
J: Penso di sì, non credo sia solo ostentazione, e tra di noi non c'è competizione: se uno riesce a diventare un grande artista significa che come lui almeno altri dieci artisti potranno farcela; se lui è famoso non significa che non lo saremo anche noi; ci aiutiamo molto. È un ambiente molto positivo per essere un musicista.
Abbiamo parlato delle vostre influenze dagli anni 60 e 70, ma cosa vi piace della musica di oggi?
K: Beh, ovviamente i Fleet Foxes, Joanna Newsom... ascoltiamo molto Dylan LeBlanc, è un grande, il suo nuovo disco uscirà quest'anno. Ha una voce incredibile, l'abbiamo scoperto la prima volta che l'abbiamo visto dal vivo, perché su disco non si nota sempre. Quando abbiamo suonato al festival [End of The Road] insieme, stavamo solo provando, e ci siamo quasi commosse, solo cantando insieme noi tre. Lui e la sua voce sono magnifici.
J: Sì, ci ha fatto venire la pelle d'oca, cosa che non succede mai quando sono io a cantare, ma anche solo la sua voce era "Aaah" [Sospira], stupenda. Ci piacciono anche altre cose dalla scena folk inglese, tipo Laura Marling e Emmy the Great.
Ascoltate solo il vostro stesso genere di musica? O vi piacciono anche cose completamente diverso, tipo elettronica, dance o heavy rock?
J: No, non ascoltiamo sempre e solo le stesse cose, a volte ci piace provare musica totalmente diversa, anche solo accendendo la radio.
K: Uno dei miei gruppi preferiti sono gli Yeah Yeah Yeahs, che è molto differente da noi; Karen O è una tale ispirazione sul palco, è così cool, ma allo stesso tempo ride sempre, è interessante perché tante persone invece sono così seriose.
Come vi presenterete sul palco per il tour di "The Lion's Roar"?
J: Saremo solo noi due e un batterista. Cerchiamo di mantenere tutto molto semplice, perché ci sembra che avere una big band a volte schiacci la nostra voce e ciò che vorremmo essere, ovvero semplici, con le nostre canzoni. Per noi è molto importante creare una connessione con il pubblico, riuscire a guardarlo negli occhi, sentirlo davvero. Non siamo assolutamente spaventate, non soffriamo di fobia da palcoscenico, quindi...