Dotto e preparato sound artist multimediale, Martijn Comes, olandese ora trasmigrato a Berlino, debutta e si allena con gli Ep “Dominion” (2008), “Lostitude” (2008), “Den Haag” (2010), tutti per il collettivo e netlabel Panospria, fino ad arrivare al primo lavoro lungo “Those Who Know Do Not Speak” (2012), in cui rielabora con fare ambient-elettrostatico alcune pagine della tradizione classica, un po’ come il “Canone” di Pachelbel della seconda facciata di “Discreet Music” di Brian Eno.
Comes è comunque più interessato a una forma di musica interattiva ed eterna. Prova ne sono i lunghi, estenuanti, insistenti mixtape del secondo “Infinite Spaces And Beyond”, compreso un preludio ribollente, in combustione d’ipercinesi (“Memory Field”).
La danza afro-industrial-cosmica di “Electric Field” (11 minuti) è continuamente interrotta e sospesa nel nulla, avvicendata col silenzio e persino evocante una distantissima preghiera. Ancor più equatoriale e freneticamente percussivo è “Silent Field” (12 minuti), d’un cupo agonizzare nella sua stessa cacofonia, prima che squarci trascendentali e “om” facciano riavviare con nuovo fuoco il concertino scrosciante di tabla.
I silenzi siderali di queste due pièce diventano assolute divinità nei 14 minuti di “Ultrasonic Field”, in cui droni di voci ancestrali e mareggiate millenarie generano un beat lento e solenne, quindi selvaggiamente sincopato, mentre cut-up vocali risuonano come un’omelia di sole sillabe, alla ricerca del linguaggio primordiale.
In saldo equilibrio tra sfasamento e sovrapposizione, Tangerine Dream e Orb, tecniche inusuali e mezzi consueti, ascesi e corpo, energia e dissipazione. Quella di Comes non è tanto una celebrazione dello sballo “totale” della civiltà dei rave party (per quanto uno dei più “totali” degli ultimi anni), ma più un viaggio danzante che punta dritto al collasso dell’universo.
23/04/2014