Masse d'aria che si muovono a tratti compatte e ad altri sparpagliate in forma di singoli spiri, il gelo che s'impossessa fin dal primo minuto del soundscape. Tutt'attorno la desolazione, la pseudo-Natura impervia del Polo Sud, luoghi dove la vita in senso biologico è ridotta ai minimi termini. English si conferma autentico prodigio nell'evocare scenari e percezioni attraverso il suo verbo sonoro, sia esso votato a un impressionismo strettamente musicale ed emotivo, o come in questo caso a un paesaggismo sonoro di matrice iperrealista.
Due lunghe suite riescono così a risultare decisamente più pregnanti ed efficaci di una semplice fotografia o di un filmato, giocandosela alla pari per intensità con un ricordo autentico. I primi venti minuti narrano di una giornata in quel della Bassa Patagonia, introducendo dunque al paesaggio a suon di raffiche convulse. A differenza di quanto fatto con Dafeldecker, l'elaborazione in chiave scientifica delle testimonianze sonore viene a mancare: qui l'obiettivo non è un prospetto preciso, bensì un'evocazione. È la Natura a suonare senza filtri, anziché essere "fatta suonare" ad hoc.
Nella più breve ma più intensa "Antarctica" il vento assume i tipici connotati polari: la frastagliata intermittenza lascia spazio a un soffio costante e incessante, attraverso il quale è fin troppo semplice percepire le drastiche temperature del luogo. Un esercizio per l'udito e per le sue capacità percettive, messe nelle condizioni di sostituire quelle della vista e di generare nell'ascoltatore un'astrazione pensabile.
Materia complessa da gestire, elaborare e perfezionare senza correre il rischio di contaminarla. English ci riesce di nuovo, in un lavoro semplicemente magistrale.
(07/03/2015)