Nonostante gli innumerevoli progetti in cui si è cimentato negli ultimi anni (e con cui si è ricostruito una carriera imponendosi come personaggio di punta del mondo del guitar-impro) riuscendo a eccellere costantemente, Dirk Serries continua a trovare il tempo per dedicarsi occasionalmente alla sua passione originaria. Niente più synth, al loro posto chitarra e pedaliera, molto più istinto e meno cura scultorea: non è poi così difficile, però, riconoscere fra i droni della sua treated guitar quella sensibilità architettonica che ha fatto di lui uno dei personaggi di punta della musica ambient.
Rutger Zuydervelt, dal canto suo, ha iniziato da qualche tempo a incidere dischi a suo nome, seguendo l'esempio dell'ex-vidnaObmana nel lasciare da parte il suo moniker più famoso: quel Machinefabriek con cui ha firmato alcuni dei capitoli più densi e profondi dell'ambient elettroacustico contemporaneo. Il loro incontro è fatto indubbiamente sorprendente, ma più facile da comprendere pensando a Shivers, progetto che ha visto Zuydervelt cimentarsi in campo impro firmando peraltro un disco clamoroso l'anno scorso.
“Buoyant”, come accennato in anticipo, si muove in realtà su coordinate piuttosto diverse, e segna un sostanziale “ritorno a casa” dei due in una dimensione prettamente ambient. Nell'iniziale “Lost Trail” è un mare tiepido e avvolgente di droni a introdurre all'ascolto, in lenta e costante evoluzione a suon di sfumature lievi e screziature mai vistose. Siamo dalle parti degli ultimi lavori di Serries su Projekt, ma la presenza di Zuydervelt riesce a ripristinare quella poetica della delicatezza che i flussi di coscienza per chitarra del belga avevano finito spesso per travolgere.
“Unraveled Blanket” rappresenta la frontiera successiva, dove il lento fluire si cristallizza in un soundscape glaciale non distante dalle ambientazioni del Thisquietarmy più artico. È Serries, con la sua chitarra, il protagonista principale di questi due dialoghi: se nei suoi ultimi impegni – dalla nascita della collana A New Wave Of Jazz in poi – sembrava aver scelto di lasciarsi trascinare in ogni direzione possibile dal fiume in piena dell'impro, subordinando l'immagine all'istinto puro, qui il Nostro si riappropria di quel lirismo evocativo divenuto suo trademark nei due decenni precedenti.
Di tutt'altro tenore sono invece le altre due suite: “The Whispering Scale” sembra strappata agli ultimi Mountains e rappresenta il ritorno al passato e alla poetica della delicatezza del Machinefabriek impressionista, costellata di richiami elettroacustici e sussurri onirici. La magniloquente e pulitissima “The Dissection” intreccia infine flussi notturni plasmandovi una scultura fin troppo vicina al vidnaObmana della “Trilogia”, riuscendo dunque nell'impresa di fungere da trait d'union fra Serries e il suo passato.
È il disco che non t'aspetti, o forse sotto sotto un po' anche sì, ma che di sicuro da tempo speravi arrivasse. Quella parentesi, fugace ma per questo ancor più affascinante, in cui un presente vorace (e, non ci stancheremo mai di specificarlo, costellato di meraviglie per entrambi) viene messo in stand-by per lasciare un po' di spazio alla nostalgia. Abbiamo imparato ad amare Serries come scultore ambientale e Zuydervelt come tessitore elettroacustico: ritrovarli per un attimo lì, dove li abbiamo conosciuti per la prima volta, non può che far piacere.
Dopodiché sarà già tempo di rientrare nei binari del presente dove, c'è da scommetterci, meraviglie diverse per aspetto e sostanza non mancheranno da ambo le parti.
01/06/2015