Quando l’ispirazione guida i tuoi passi, puoi inciampare o correre senza meta, consapevole di avere tra le mani un attimo da cogliere prima che la ragione lo renda routine o un fugace flusso di creatività; deve essere questo il motivo che ha spinto Sharon Van Etten a dar seguito instantaneo al raffinato crogiuolo di sogni e incubi senza paure di "Are We There", con un Ep di solo cinque piccole perle agrodolci.
"I Don’t Want To Let You Down" ricorda ai più distratti che dietro la notevole struttura sonora dell’ultimo album la scrittura della Van Etten era solo meno istintiva e diretta che in passato: non c'erano più le coordinate emotive di "Epic", ora l’autrice preferisce un dialogo meno ruffiano e più colto, dove discernere le varie incarnazioni dell’amore.
Sharon Van Etten è una delle poche artiste country che stanno rinnovando la geografia antropologica di un genere musicale radicato in una tradizione culturale che si agita tra il populismo democratico e uno strisciante razzismo conservatore. Le città e la realtà urbana sono il nuovo territorio di cowboy e prostitute del vecchio West, consapevoli della loro solitudine e turbati da una malinconia ricca di follia e voglia di riscatto.
E’ questa la realtà che Sharon Van Etten riesce a raccontarci meglio di qualsiasi altra songwriter annoverata dai critici nel panorama dell’alternative-country, lo fa a volte con una brutalità che lascia freddi e indispettiti, scolpendo nel pentagramma la vulnerabilità dell’umana emozione.
Per coloro che ancora stanno soffrendo ascoltando all’infinito "Your Love Is Killing Me", preparatevi per un viaggio intenso, ricco di suggestioni, ma privo di quella magniloquenza espressiva che caratterizzava le pagine di "Are We There": c’è più anima e corpo in questi cinque bozzetti, canzoni semplici e meno articolate che avrebbero sofferto tra le maglie sontuose del suo precedessore.
Non è un caso che "I Don’t Want To Let You Down" sia uno dei brani preferiti della Van Etten nelle sue esibizioni live: la semplicità lirica degli accordi strappa un sorriso anche a chi aveva trovato eccessivo il livore malinconico e introverso delle ultime prove, quasi una versione pop delle incursioni country e blues di "Are We There" (leggasi “Tarifa” e “Taking Changes”).
C’è un senso d’abbandono e di relax che fa scivolare il tutto con grazia, e anche se "Just Like Blood" non supera lo scoglio di pregevole out-take, al contrario "I Always Fall Apart" scuote i sensi pur utilizzando gli stessi elementi base, il piano prende per mano la voce e la trasporta in quel luogo dove i sogni sono l’unico rifugio alla solitudine, una melodia che cattura Leonard Cohen e Lana Del Rey in un improbabile matrimonio creativo.
Sciolte le ultime velleità pop con il crescendo ritmico di "Pay Me Debts", e riequilibrato definitivamente il tono malinconico del repertorio live, in vista di un’imminente tourneé, la cantautrice rispolvera dai "Tramp Demos" una sempre più affascinante "Tell Me", in una live version che mette in riga tutta la passione e l’abilità creativa di un’artista destinata a un futuro ancor più luminoso.
"I Don’t Want To Let You Down” è un pregevole mini-album dal quale ricominciare a rileggere l’identità artistica di Sharon Van Etten, che la critica tiene in bilico tra genio e mediocrità, e che invece merita un’attenzione meno fugace e superficiale per essere amata e compresa.
25/06/2015