Ascoltare un nuovo disco di Karen e Don Peris è scoprire, ogni volta, che qualcuno dall’altra parte dell’oceano si sente come te, giù in fondo. Ed è così che riprende quella conversazione della quale Karen si sente parte, quella a cui non riesce a partecipare parlando, ma solo cantando. Chiunque l’abbia sentita sa quanto è difficile scriverne in modo distaccato, tentando come al solito di mettere ordine nel torrente di informazioni che ci piove addosso tutti i giorni.
Non ci mette tanto, Karen, a farsi sentire, interloquendo con gli arpeggi claudicanti di Don come in un radioso mattino di convalescenza, nella filastrocca della title track, che culmina appunto in un “Hello, hello, hello/ I feel the same”.
E per fortuna, perché ormai per i fan della band la musica degli Innocence Mission è diventata una di quelle piccole cose di cui il mondo non si accorge, nonostante non sarebbe lo stesso senza di essa. Rispetto al precedente, di ispirazione assoluta ma dagli arrangiamenti più diretti e “terrestri”, “Hello I Feel The Same” riproduce con maggior fedeltà il mondo fatato, di nobiltà Miyazaki-ana - e quindi di sempre viva curiosità e rispetto per l’animo umano - dei coniugi Peris. Quello sepolto dalla neve, dove gli uomini sembravano aggirarsi come creature più di spirito che di carne, di “Birds Of My Neighborhood”.
Il disco solista di Karen di un paio di anni fa arricchisce di sparute e commoventi note di piano il disco, colorando il dialogo (interiore?) di “When The One Flowered Suitcase”, uno degli apici dell'album, con la sua storia di figure itineranti, ombre colorate in un mondo ostile e incomprensibile, che Karen prende per mano.
Una sensazione di movimento, come un’invisibile mano tesa, permea il disco, e così la muta strumentale “Barcelona”, che riecheggia i Kings Of Convenience, con la sua riproposizione in chiave chamber-pop di stilemi spagnoli, diventa veicolo di emozioni inespresse. Come già sottolineato, è il diverso approccio agli arrangiamenti, più delicato che in “My Room In The Trees”, a nobilitare “Hello I Feel The Same”: “Tom On The Boulevard” è la canzone che scriverebbe Kozelek, se avesse ancora le forze dentro di sé di farla sbocciare come succede nella semplice grandiosità di questo album.
Ma è “Washington Field Trip” il vero culmine emotivo del disco, un brano che nell’improvviso calar di tono dell’intermezzo riporta ai tempi in cui la band nacque, a fine anni 80, con gli arrangiamenti di chitarra e pianoforte che scolpiscono una scenografia indimenticabile, di fiocchi di neve e zampillii d’acqua, sulla quale si staglia la struggente fragilità di Karen.
Il climax emotivo fino a “Barcelona” è talmente impegnativo che la seconda parte del disco rappresenta una sorta di operazione misericordiosa, per come contiene brani meno d’impatto, da sorseggiare pian piano, da scoprire “un’altra volta”. Subito arriva il formicolio di emozioni di “State Park”, una delle lullaby più riuscite di una band che alle ninna-nanne ha dedicato un intero disco, con la sua parata di kodama luminescenti. “Fred Rogers” recupera un’idea sonora che ci riporta al passato più indie-pop del gruppo, con il suo sound così secco.
Va sottolineato come gli Innocence Mission non abbiano mai perso di vista l’impronta pop: anche qui i brani rimangono sempre di durata ridotta, e comunque centrati sulle melodie vocali.
Ed è così che si giunge, con una sorta di grumo interiore luminoso andato via via crescendo di dimensioni, alla chiusura piano e voce di “The Color Green”, in cui Karen sembra spiegare la trasformazione che è capitata, la musica che sembra provenire dagli edifici, dallo scandire del tempo e della meteorologia, dalle altre persone. “Il colore verde è entrato dentro di me”: un simbolo cromatico per indicare una cosa semplice e rarissima, che dalla musica degli Innocence Mission non si torna indietro.
02/10/2015