Proprio allo scadere del 2016, è uscito l'ultimo doppio-album di Amerigo Verardi, cantautore psichedelico brindisino che ha recentemente festeggiato i trent'anni di attività. Nel suo curriculum, troviamo molti progetti collettivi alternativi (Allison Run, Betty’Blues, Lula, Lotus), produzioni di rilievo (Baustelle) e importanti collaborazioni da solista, tra cui quelle con Federico Fiumani, Manuel Agnelli e Carmen Consoli.
Dopo quattro anni di pausa, il brindisino ritorna con un disco che porta il curioso titolo "Hippie Dixit", un calembour che suona quasi come una burla, anche se la musica al suo interno annega le sue radici proprio negli inestricabili dualismi tra ironia e malinconia. Una forma di psichedelia ragionata, quindi, che si contamina di influenze elettroniche e orientali, dove l'anarchia sonora de "Le Stelle" di Mario Schifano si incontra in volo con il delicato onirismo di Claudio Rocchi e il colto psych-rock di Julian Cope, scontrandosi tavolta anche con le scie acid-folk di Donovan e con il misticismo etnico dei Popol Vuh.
Già l'ampio minutaggio dei brani, che solo in pochissime occasioni si adagia sullo standard della forma-canzone, lascia intendere all'ascoltatore di trovarsi davanti a un disco di cantautorato piuttosto singolare. Oltre che in lunghi minuti, i brani di Verardi vedono il suo autore snodarsi tra diversi strumenti (chitarra acustica ed elettrica, guitar synth, banjo, basso, xilofono, flauto, kora, cetra, mandolino, djembe, darabouka), mentre una lunga sfilza di ospiti corre in suo aiuto per completare il quadro: Andrea D’Accico (chitarre), Roberto D’Ambrosio (bouzuki), Paolo Celeste (basso), Rocco Caloro (percussioni), Fabio Sasso (batteria), Isabella Benone (violino) e Ilenia Protino, Daniela De Maria, Paola Petrosillo (voci).
Con queste premesse, le aspettative sono alte e non vengono affatto deluse. Si tratta di un doppio album capace di trasportare e ammaliare l'ascoltatore in un flusso di coscienza psichedelico, popolato da personaggi misteriosi degni della Beat Generation, come nel caso di “L’uomo di Tangeri”, città marocchina divenuta anche il "campo base" di Brian Jones; proprio come nel 1968 il più estroso dei Rolling Stones si recò nel villaggio di Jajouka alla ricerca di nuove sonorità, ricavandone i nastri di “The Pipes of Pan at Joujouka”, anche Amerigo Verardi è stato ispirato dai musicisti locali che suonano per ore e ore in uno stato di trance collettiva, trovandovi perfino la compagnia di Anita Pallenberg.
Spazio, quindi, anche a rituali e citazioni mistico-religiose (“Viaggi di Paolo”, "Pietre al collo") e visionarie "Terre promesse", anche se il vero cuore pulsante dell'opera è rappresentato dalle suggestioni del Meridione; da "Due Sicilie", in cui si critica il "sacco del Sud” perpetrato dagli unificatori d’Italia ("Non te lo dicono a scuola/ qual è il prezzo pagato/ meglio dimenticarlo/ di chi è il sangue versato per l’Unità/ quanto è costata l’Unità/ scrivetelo sui libri di storia"), ai paesaggi meditativi della Valle d'Itria di “Cisternino Bhole Baba Dhuni”, raggiungendo infine anche "Brindisi (Ai terminali della via Appia)", con gli sguardi tragi-comici di Verardi verso la sua inquinata terra natia, dove le tristi scelte industriali della città pugliese vengono poste in sarcastico parallelo al classico gesto del buon augurio ("bollicine, un calice e una fetta di cancro/ prendevo medicine, brindavo così").
Ma Amerigo Verardi non si ferma neanche dinanzi alle malattie, e così il suo viaggio lo porta fino all'esoterica "Korinthos", scalfita solo da voci femminili che affiorano come sirene omeriche, lasciando poi spazio a una citazione dalla Seconda Lettera ai Corinzi sul finale. Un viaggio biblico tra Italia, Oriente e California che prosegue negli arpeggi e nei suoni new age di "A piedi nudi", fino alla triade psych-folk formata da "Chiarezza", "Verità" e "Innocenza".
Alla fine, però, "Le cose non girano più" e la cover di "A me non basta", un brano di un altro abile artista brindisino, Alessandro Tomaselli, portano a conclusione 100 minuti di cantautorato catartico, capace di trascendere acid-folk, kraut-rock, sonorità orientali, tradizione italiana, psichedelia e riverberi cosmici. Chapeau!
05/01/2017