Si è fatto attendere meno di un anno il secondo capitolo del progetto Book Of Air, promosso dall'entità collettiva Granvat (Belgio) e avallato nientemeno che da Sub Rosa. Il quintetto di derivazione jazz che ha dato corpo a "Fieldtone" ci introduceva a un approccio contemplativo nei confronti della natura, non rappresentata nella sua ricchezza percettiva quanto nel suo placido Essere, come vedendo e ascoltando la riproduzione opaca e ridotta ai minimi termini di un flusso sensoriale senza contorni.
Pur conservando la stessa ottica di ecologia sonora - propria dell'area nord-europea che accomuna tutte le parti in gioco - "vvolk" muove verso un ulteriore grado d'astrazione, avvalendosi di diciotto elementi acustici o amplificati riuniti intorno alla figura del compositore e batterista Stijn Cools. Due lunghi brani su due lati di Lp, ciascuno dedicato a una coppia di stagioni: primavera-estate e autunno-inverno; ispirazione di per sé banale e inflazionata che però non rispecchia magniloquenti ambizioni pittoresche né particolari suggestioni sonore, bensì ha direttamente a che fare col tempo e coi graduali processi di cambiamento che esso guida. Un'immobilità soltanto apparente, smossa da venature intermittenti di esecuzione improvvisata, similmente alla "musica intuitiva" dei "Sieben Tagen" stockhauseniani.
Book Of Air diviene qui il suono del momento presente e transitorio, sospeso in quella che lo stesso Cools definisce "una nuvola, un tessuto dai dettagli in lento movimento", immagini che unitamente all'ascolto richiamano le "simmetrie storpie" di Morton Feldman, supremo filosofo del tempo-oggetto in musica.
Una sensazione più accentuata nelle stagioni del decadimento (lato B): subito l'apertura strumentale si stabilizza su un tono interrogativo di La minore che normalmente - ad esempio in un solenne preludio orchestrale - approderebbe ben presto nella pienezza melodica di un Mi maggiore, quando invece la transizione sembra rimandata indefinitamente, come congelata in un inquieto torpore; in realtà il varco si sta già aprendo, in maniera impercettibile, per mezzo di gradazioni microtonali intermedie che a metà percorso hanno già ultimato il processo di smussamento, compiuto il quale tutte le sorgenti si incanalano in un filtro opaco diretto a un tono statico assoluto di Do, sino a raggiungere la radice primaria di ogni potenziale sonoro/musicale.
Tornando all'inizio del ciclo stagionale (lato A), l'estatico calore che ispira l'ensemble belga sembra gettare un ponte verso la lontana sponda d'oltreoceano, il Canada dell'ambient-elettronica a marchio Kranky, pervasa dalla stessa luce naturale che fa risplendere ogni elemento circostante. Qui l'ensemble di reichiana memoria crea una tessitura baluginante di fiati, chitarre in clean e contrabbassi dalla morbidezza rifrancante, avvicinando gli stilemi modern classical alla drone astrale degli ultimi Natural Snow Buildings.
È di certo il momento migliore in cui chiudere gli occhi e svuotare la mente anche durante la performance dal vivo, ove vengono forniti cuscini e coperte d'ordinanza al pubblico, che può così distogliere l'attenzione dalla sorgente di suoni, sovrastante ma gentile, e varcare le porte di un limbo meraviglioso.
09/08/2016