Il chitarrista e cantante Dave Brock è il custode dell'intera storia degli Hawkwind, una delle più intransigenti e longeve band che la musica underground ricordi. È lui il punto fermo di una leggenda che è iniziata nel lontano 1969 e che ha visto avvicendarsi al suo interno personaggi come Ginger Baker, Nik Turner, Robert Calvert e il compianto Lemmy Kilmister. Lo space-rock degli Hawkwind è un trip oscuro, lucido e duro, un lungo incubo fantascientifico a occhi aperti. È una musica strutturalmente essenziale, riconoscibile all'istante dai fedelissimi fan che ancora oggi li accolgono con incondizionato entusiasmo.
Nel 2016 Dave Brock torna con una nuova formazione a siglare il ventinovesimo tassello discografico della sua band, "The Machine Stops", partorito assieme a Dead Fred (tastiere), Mr. Dibs (basso, voce), Richard Chadwick (batteria, percussioni), Niall Hone (synth, basso) e Haz Wheaton (basso). È un altro concept-album, questa volta basato su una novella neoluddista di E. M. Forster ("La macchina si ferma", 1909), che dipinge un futuro distopico in cui una grande macchina provvede ai bisogni di ciascun uomo, almeno fino a quando essa non registra un malfunzionamento. Da un lato gli Hawks vogliono mettere in luce questa visione desolante focalizzandosi sull'alienazione delle persone nell'era post-moderna e sulla dipendenza dalla tecnologia della società contemporanea, dall'altro il titolo sembra quasi alludere alla chiusura di un ciclo storico iniziato con "Silver Machine", il brano divenuto l'inno per antonomasia dello space-rock tout-court.
La "macchina argentata" degli Hawkwind prima di fermarsi trova però il tempo di attraversare quattordici canzoni, dando all'ascoltatore alcuni scorci suggestivi, a cominciare dai vocals sci-fi di "All Hail The Machine", che evocano un classico come "Sonic Attack" da "Space Ritual". La formula è quella del passato, tra chitarre sporche, bassi maniacali, sintetizzatori pigolanti e un'atmosfera generale satura di cosmica entropia. Ulteriori elementi nostalgici e autocitazioni vengono rispolverati con convinzione in "The Machine" e nella strumentale "Katie", mentre deludono "King Of The World" e "In My Room", che paiono invece più una sequenza di frammenti sottosviluppati che vere canzoni coese.
Alle trame progressive di "Thursday" segue lo strano e galattico garage-rock di "Synchronised Blue", con Brock che spinge poi la mano verso un'elettronica rudimentale in "Hexagone", "Living On Earth" e "The Harmonic Hall", ricordando le guerre stellari del kraut-rock. Si schierano più sul fronte space-punk la dimenticabile "Yum Tum" e il piacevole singolo "A Solitary Man", preludendo al binomio di chiusura di "Tube" e "Lost In Science", una sorta di mix ancestrale tra Gong e Grateful Dead, risintonizzati in un'altra dimensione sulle frequenze di Isaac Asimov.
Dopo quasi cinquant'anni di attività, rimasti a piedi con la macchina ferma, non ci si può fare a meno di chiedere se la parabola musicale degli Hawkwind sia arrivata stavolta al capolinea.
11/08/2016