recensioni / 2016

The Explorers Club

Together

2016 (Goldstar Recordings)

sunshine-pop, surf

di Gianfranco Marmoro

7.5

A dieci anni dalla prima uscita discografica, il The Explorers Club si rigenera intorno alla figura di Jason Brewer, unico superstite del sestetto originale e ora indiscusso leader del gruppo di Charleston (Sud Carolina), trasferitosi di recente a Nashville (California).
I quattro anni trascorsi dal controverso "Grand Hotel" hanno permesso a Brewer di compattare un nuovo quintetto, coinvolgendo due nuovi vocalist (Michael Williamson e Wyatt Funderburk) e riconfermando Kyle Folk alla batteria e Paul Runyon alle tastiere, due musicisti già presenti nel secondo album della band.

"Together" rimette in moto la passione di Jason Brewer per il sunshine-pop e i Beach Boys, concentrando l'attenzione sugli intrecci vocali e armonici, allontanando quelle tentazioni mainstream e Aor che avevano dirottato le buone intenzioni del gruppo.
Il terzo album degli Explorer Club, pur se figlio delle migliori intuizioni liriche dei Beach Boys, non mostra approssimazioni o mancanza d'ispirazione. Il citazionismo resta sempre gradevole con un'attenzione particolare al periodo del gruppo californiano che va da "Surf's Up" a "The Light Album".
Una scrittura solida e una maggiore varietà permettono alla band di mettere in piedi l'album più interessante e godibile della sua produzione, e gli arrangiamenti ricreano con gusto e poche svenevolezze uno spaccato sonoro tuttora incantevole.

Tra pagine easy-listening ("Quietly") e curiose ibridazioni tra passato e presente ("My Friend") si insinuano delicati frammenti acustici ("Perfect Day") e ambiziose contaminazioni simil-orchestrali ("No String Attached" e "Be Around") che sembrano uscire da un album degli High Llamas. Gli anni 70 primeggiano sui 60 con raffinate citazioni pop alla 10cc (la title track), spensierati mix di beat e soul ("Once In A While") e un finale capace di strappare un timido ma convinto applauso ("Before I'm Gone").

Con "Together" Jason Brewer può essere fiero di aver onorato con classe la tradizione del miglior pop americano che va dai Beach Boys ai Chicago, senza dimenticare la lezione di Zombies, Bee Gees e Carpenters. Un album genuino che si candida senza alcun dubbio come il miglior progetto realizzato dal gruppo.