C'è una nuova piccola label a Roma - si chiama Lady Sometimes Records - curata con dovizia artigianale, intenta ad affacciarsi nel labirinto sonoro di casa nostra prefissandosi l'obiettivo di promuovere in particolare la scena emergente shoegaze/dream-pop/slowcore.
È esattamente in quest'alveo che si muove la seconda prova dei Weird, trio guidato dalla voce e dalla chitarra di Marco Barzetti, giunto alla seconda prova in studio a due anni dall'esordio "Desert Love For Lonely Graves".
Marco è uno che si butta, lo abbiamo visto anche affrontare il palco da solo, senza timori, accompagnato soltanto dalla propria sei corde e da una bel set di effetti. Si ispira apertamente all'estetica nineties di My Bloody Valentine e affini (con la voce perennemente riverberata mai troppo distinguibile), ma senza troppe menate nostalgiche.
Altri punti evidenti di contatto sono con la scena post-rock, non tanto quella dei numi tutelari Mogwai-Tortoise, quanto quella scaturita dall'esperienza di altre band italiane, Giardini di Mirò in primis.
Le liriche restano sofferte e introspettive, a tratti disperate (del resto i titoli dei due album sono programmatici in tal senso), gli strumenti ricamano un dream-pop mai troppo soporifero ("The Circle Is Closed Except Where It Bleeds"), spesso saturo di malinconia ("Widow"), con alcuni arpeggi che riportano alla mente i Cure dei tempi d'oro ("Infinite Decay") o i più recenti Calla, schiudendo le porte verso l'estasi darkwave più trasognata.
I cigni della traccia finale ("Swans", la più lunga e articolata) potrebbero rappresentare la luce alla fine del tunnel, ma fossi nei Weird non rincorrerei troppo il sole: questi lunghi periodi di cecità si stanno dimostrando ricchi di spunti degni di nota.
18/09/2016