Si potrebbe fare un esperimento, e fare finta che “Enter The Kingdom” sia il primo disco dei Frontier Ruckus. Le divagazioni delle interpretazioni del frontman, che suona come un Will Sheff più nerd, gli eleganti e leggerissimi arrangiamenti per banjo e tastiera, le storie ombelicali e post-adolescenziali di un sensibile post-graduate della provincia americana: tutti ingredienti che fanno drizzare le antenne a chi segue l’Americana post-Nineties.
Eppure questo è già il secondo disco da “Eternity Of Dimming” in cui le deviazioni melodiche sono assenti, la scrittura di Matthew Milia (il nerd di cui sopra) si è ormai sclerotizzata, come se la musica fosse solo un pretesto per raccontare, e non il contrario.
Peccato, perché la colorita compagine Anderson-iana di Detroit è tra le più simpatiche nel panorama contemporaneo, e le canzoni di Milia mantengono comunque la loro capacità empatica, per quei momenti in cui ti chiedi come è successo che ti trovi adulto, quando fino a qualche giorno prima andavi al liceo. Un diario di sopravvivenza per chi è stato adolescente negli anni 90, insomma.
Senza eccedere in severità: qualcosa di nuovo si intravede, in “Enter The Kingdom”, uno stile più raccolto dopo il tributo al power-pop di “Sitcom Afterlife”, qualche guizzo di arrangiamento (affidato agli archi, principalmente, riuscendo a strappare dall’anonimato il singolo “27 Dollars”) e di scrittura (le sincopi scherzose di “Gauche”, il melodramma introverso di “Gerunds”). Ma non si possono dimenticare anche i tanti brani ricotti, che il gusto della band non può elevare oltre quello che sono.
16/02/2017