Spesso la musica è una finestra su un altro mondo, su altre consuetudini, anche se non sempre è necessario rivolgere le attenzioni alla world music per trovarsi di fronte a linguaggi sonori atipici. A volte le diversità culturali sono più attigue di quanto pensiamo, esempio illuminante è il Galles, dove il forte senso d’identità ha evitato eccessive contaminazioni e sopraffazioni culturali. Mentre nel resto del Regno Unito i principi della musica modale sono rimasti intatti, radicandosi nella musica folk, nel Galles sono ancora presenti residui di polifonia, fonte primaria dell’eccentricità di gruppi come
Super Furry Animals,
Gorky’s Zygotic Mynci, Meic Stevens o Catatonia.
Huw Evans è l’ultimo degli anticonformisti del pop-rock gallese, un personaggio emerso dall’oscurità dell’
underground grazie al successo di “In The Pink Of Condition”, un album per il quale è stato acclamato come discepolo di
Kevin Ayers. Con “I Romanticize” H. Hawkline amplia notevolmente le proprie devianze stilistiche, restando coerentemente ancorato a visioni
hefneriane in bilico tra indie-pop e folk trasversale (“Salt Cleans”), immergendo il tutto in
groove ritmici più solidi, che a volte ripescano suggestioni ipnotiche in chiave post-punk.
Il nuovo album del musicista gallese è la celebrazione del surrealismo, lo stesso che si agita dietro le intuizioni geniali di
Mac DeMarco (“Engineers”) o
Stephin Merritt (“Last Days In The Factory”). Affabilmente lisergica, la musica di H. Hawkline ha affinità con le sghembe tessiture chitarristiche di Jonathan Richman o
Connan Mockasin (“Means That Much”), a volte ostenta un romanticismo
naif alla maniera degli
Orange Juice (“Love Matters”) e infine valica senza pudore e timore i confini di genere, citando esplicitamente i
Television su tempi ritmici alla
Talking Heads (“Television”).
Il musicista rende comunque malleabile e gradevole un pop psichedelico abbastanza sbilenco e straniante, senza rinunciare ad armonie sconnesse (“Salt Cleans”), distorsioni vocali e strumentali dai toni plumbei (“Cold Cuts”) e dissonanze in odore di velato pathos (“My Mine”). E’ come un pittore
naif alle prese con delle tavolozze sonore imbrattate apparentemente a casaccio con secchiate di colore, un musicista abile nell’alternare a fragili folk-pop canzoni passionali e ipnotiche.
Spetta comunque alla conclusiva “Last Thing On Your Mind” e al suo corposo
mix di drammaturgia e humour a base di organo, synth e
drum machine l’onere di offrire la melodia più confortevole dell’album.
Con “I Romanticize” H.Hawkline conferma tutte le ottime credenziali del precedente “In The Pink Of Condition”, senza tentare l’effetto
deja-vu o copia-carbone. Un disco perfetto per chi vuole ripulirsi le orecchie dalla routine degli ascolti consigliati da Spotify.